venerdì 13 febbraio 2015

Lgbt: “Transformation” Il diritto di essere diversi, della fotografa Francesca Galliani dal 14 febbraio alla Galleria d'Arte Maggiore di Bologna

D.it ha intervistato Francesca Galliani, giovane fotografa italiana trapiantata a New York, autrice della famosa campagna pubblicitaria “Blue”, esposta alla Triennale di Milano.
L'occasione è il lancio della sua nuova mostra “Transformation” in cui l'artista ha dedicato una serie di scatti a donne e uomini transgender. L'obiettivo è alzare il velo su una realtà ancora poco trattata e sui diritti delle persone che non si sentono racchiuse dentro lo "stereotipo di genere"

Candy Darling, musa transgender di Andy Warhol, disse: “Devi sempre essere te stesso a qualunque costo. È la più alta forma di moralità”.

Parole che ben rappresentano lo spirito di Transgender, serie di scatti che la fotografa Francesca Galliani, nata in Italia ma formatasi e trasferitasi dall'età di 19 anni negli Stati Uniti (sua la creazione di “Blue”, la campagna pubblicitaria di Levi’s di grande successo esposta alla Triennale di Milano), ha dedicato a tutte le persone che non si sentono racchiuse dentro lo "stereotipo di genere" normalmente identificato come maschile e femminile.

L'obiettivo è alzare il velo su una realtà ancora poco trattata: sono infatti passati molti anni dalla rivolta di Stonewall del 1969, che ha spianato la via ai diritti gay negli Stati Uniti.
Ma la strada da percorrere è ancora lunga, considerato che i transgender sono ancora oggi oggetto di discriminazioni e di soprusi. Un fil rouge, quello della trasformazione, che caratterizza tutta la mostra nella quale si inseriscono gli scatti intitolata appunto “Transformation”, la cui inaugurazione è prevista per domani 14 febbraio presso la Galleria d'Arte Maggiore di Bologna.
Le abbiamo fatto qualche domanda.Intervista di Sibilla Di Palma

Puoi raccontarci la serie Transgender? Da cosa nasce e qual è stato il motivo che ti ha spinta a focalizzarti proprio su questo tema?
“Ho iniziato a fotografare i transgender negli anni Novanta con lo scopo di mostrare la loro bellezza, il loro potere e la loro dignità. Lo stigma che la società ha contro la loro natura ha motivato il mio desiderio di fotografarli. In seguito ho però smesso e un paio di anni fa mi è capitato di andare a una veglia di una ragazza transgender che era stata ammazzata a botte ad Harlem da un uomo che aveva tentato di approcciarla e aveva scoperto la sua identità. Questo avvenimento mi ha profondamente toccata e ha acceso in me la necessità di tornare a fotografarli per sviluppare un progetto sui diritti umani. La mia intenzione è andare oltre l’accettazione di chi è 'diverso', celebrando la diversità, perché è una questione di diritti umani: il diritto di essere veramente se stessi”.

Dall'epoca di Stonewall, nel 1969, è passato molto tempo. A che punto siamo?

“In quel periodo era illegale essere transgender e omosessuali. Oggi sono stati acquisiti diversi diritti in tanti paesi e negli Stati Uniti il matrimonio gay è legale in 36 stati. Anche se i soprusi e le discriminazioni sono ancora molti. Basti pensare che nel 2012 gli omicidi di persone transgender sono cresciuti del 13% rispetto al 2011. E ancora oggi capita che una donna transgender vada al pronto soccorso dopo essere stata violentata e picchiata e non venga curata. La società è insomma ancora molto ostile”.

Nelle tue foto vengono ritratte in molti casi donne che hanno scelto di diventare uomini. Come mai? “Quando si pensa ai transgender vengono in mente soprattutto uomini che hanno scelto di diventare donne, io invece volevo dare voce anche al caso inverso, di cui non si parla quasi mai. La mia idea è comunque quella di fotografare una vasta gamma di uomini e di donne transgender che si esprimono in modi diversi”.

L'attenzione per il sociale è sempre molto forte nelle tue opere: pensi che l'arte abbia la capacità di cambiare in meglio le cose?
“Sì, certo. Per capire il suo potenziale rivoluzionario basta guardare alla Golden Age in cui i monarchi la usavano per affermare il proprio potere o a dittature come il nazismo che hanno cercato di distruggerla proprio perchè consapevoli della sua importanza”.

Come hai scelto le persone che sono ritratte nelle foto?
“Ho usato il passaparola, non le conoscevo, e in alcuni casi sono stati incontri casuali”.

Puoi raccontarci la storia di qualcuno dei protagonisti?
“Tra le persone che ho ritratto c'è Mark, una bellissima donna che lavorava come modella, ma che si è sempre sentita un uomo. Dovendo reprimere la propria identità e trovandosi in un corpo non suo ha cominciato a utilizzare droghe e alcol fino a restare senza casa, senza lavoro e senza affetti. Così ha deciso di smettere e ha ricominciato a lavorare e a mettere da parte i soldi per cominciare la transizione. Una volta completato il percorso ha capito che alla base della sua dipendenza da alcol e droghe c'era l'identità di genere. Mentre Andrew è andato via di casa per cominciare la sua
transizione quando aveva poco più di 20 anni. Per qualche anno non ha più visto i suoi genitori che non accettavano la sua scelta. Negli scatti c'è anche Jane che veniva continuamente ridicolizzata per strada e non riusciva a trovare lavoro in quanto transgender e si è così ritrovata a prostituirsi, una realtà in cui incorrono tante donne trans. Per gli uomini trans è infatti più facile trovare un lavoro perché sembrano effettivamente maschi, mentre per queste ultime è più difficile perchè vengono riconosciute come tali”.

Dove sono state scattate le foto?
“Principalmente a New York. Altre, invece, a Los Angeles e a San Francisco dove c'è una grandissima comunità di donne che hanno scelto di diventare uomini”.

Spesso nelle tue immagini sono presenti anche elementi di pittura, di scrittura ed elementi di collage: perché questa commistione?
“Mi interessa il tema della manipolazione dell'immagine. Trovo che la tecnica mista, con l'aggiunta di parole, frasi, componenti grafici o schizzi di colore, rappresenti un elemento in più che dà ricchezza all'immagine. La parola, in particolare, quando la isoli dal suo contesto ti fa entrare in una sorta di stato meditativo e spesso mi piace inserire nelle fotografie anche i miei pensieri”.
FONTE http://d.repubblica.it/attualita/2015/02/13/news
/francesca_galliani_fotografia_diversita_transgender_mostra_triennale_milano-2478756/

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