mercoledì 6 marzo 2013

Lgbt: Essere trans in Italia, tra discriminazioni e spiragli di normalità


La Svezia, con una sentenza storica, ha abolito l'obbligo di sterilizzazione per il cambio di genere. E nel nostro Paese? L'analisi di un'esperta di una situazione che sta cambiando.

In Svezia, a gennaio, una sentenza della Corte di cassazione ha abolito la legge che stabiliva l'obbligo di sterilizzazione durante l'iter del cambio di genere.

E in Italia? Alla luce dei cambiamenti a livello europeo, come possiamo definire il livello e la qualità della tutela dei diritti per le persone che intendono cambiare sesso nel nostro Paese? Ne parliamo con Antonia Monopoli(in foto), peer educator presso lo Sportello trans Ala Milano Onlus all'interno del quale svolge un servizio di accoglienza e consulenza sull'iter transessuale e transgender.

Antonia, nella tua esperienza di consulente sei entrata in contatto con un gran numero di persone transessuali e transgender. Come varia la sensibilità individuale? Com'è l'approccio con i servizi?

Anzitutto occorre ribadire che il percorso di transizione non è oggettivo, è soggettivo.
Dipende dalla percezione che la persona ha di sé e conta molto anche il concetto di proiezione: ad esempio, nelle persone transessuali chi nasce maschio proietta su di sé un desiderio di femminilità e viceversa. È importante anche che le persone trans non siano soggette a discriminazioni.
Nel 2009 ho aperto lo Sportello trans all'interno dell'associazione Ala Onlus che non è rivolto solo alle persone transessuali, ma anche a chi le circonda: genitori, parenti, amici, partner, e naturalmente anche i servizi sul territorio.
Oltre al mio lavoro di consulente, in questi ultimi dieci anni sono stata molto attiva nel campo del volontariato, qui a Milano, e ho potuto vedere che molti progetti risultano poi fallimentari perché pochi sono davvero disposti a metterci la faccia.
Questo perché, come sappiamo, la transessualità e in transgenderismo sono oggetto di una grave discriminazione che rende ancora più difficile la propria esperienza di transizione.

Lo scorso gennaio la Svezia ha abrogato una legge, risalente al 1972, che imponeva la sterilizzazione come condizione necessaria per il riconoscimento del cambio di genere. Perché questo traguardo è così importante per la dimensione emotiva di una persona transessuale o transgender? In Italia com'è la situazione legislativa al riguardo?

In seguito a una iniziativa dei primi anni Ottanta di alcune donne transessuali che hanno manifestato a seno nudo, in una piscina milanese, per vedere riconosciuta la propria femminilità, in Italia esiste una normativa in materia di transessualità, la legge 164 del 1982.
Questa legge ha "normalizzato" le persone trans permettendo loro un adeguamento di genere.
Questa legge all'epoca era all'avanguardia; l'Italia è stato uno dei primi Paesi in Europa ad approvare una tale normativa, che però permette la riattribuzione del genere solo in caso di adeguamento dei genitali, nello specifico mediante interventi di orchiectomia o di ovariectomia, erogati dalle Asl.
Ora si sta cercando di capire come eventualmente poter cambiare nome e documenti senza fare ricorso alla sterilizzazione chirurgica che lo Stato chiede.
In pratica lo Stato esige che le persone trans non debbano procreare, riprodursi: questo perché in Italia transessualismo e transgenderismo rientrano ancora oggi tra le patologie mentali.
C'è l'esigenza, sempre più sentita e su cui ci si attiva anche a livello politico, di poter ricorrere alla riattribuzione del genere senza sottoporsi alla sterilizzazione chirurgica.

Esiste il caso di una donna transessuale di Roma che ha ottenuto il cambio di nome senza aver effettuato il cambio di sesso: per motivi di salute, infatti, non poteva sottoporsi all'intervento chirurgico di rassegnazione chirurgica sessuale, intervento delicato che dura 6 o 7 ore.

Per questo motivo il giudice ha ritenuto opportuno dare comunque l'ok al cambiamento del nome all'anagrafe. C'è la speranza che questo precedente possa costituire un riferimento per le persone transessuali che non possono o non desiderano ricorrere alla sterilizzazione chirurgica.

Vuoi raccontarci il tuo percorso di persona transgender o, come ti definisci tu, di neo-donna?
Quando nel 1994 mi sono trasferita al nord, io che ho origini pugliesi, ho lavorato per molti anni in strada come prostituta e non sapevo a chi rivolgermi per comunicare le esigenze che avevo.
A Milano c'era l'Arcitrans ma io non ne sapevo niente; non sapevo nemmeno che ci fosse il Movimento italiano transessuali a Bologna. Pensa che non sapevo neanche usare internet, ero proprio tagliata fuori!
Ero talmente lontana da questi scenari che poi, quando ho cominciato a saperne di più, mi sono attivata immediatamente nel sociale.
Spesso le persone trans hanno un grande bisogno di umanità e di dialogo: ecco perché, alla luce della mia esperienza personale, a chi si rivolge a me come consulente vorrei dare non solo risposte, ma anche un grande calore e una grande accoglienza.
fonte http://www.globalist.it di Belinda Malaspina

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