lunedì 30 maggio 2022

Cinema: Ci credevano in pochi, e invece Elvis di Baz Luhrmann è un capolavoro

Il regista australiano firma forse il suo più bel film di sempre, un atto d'amore che convince da ogni punto di vista. 

Quando Baz Luhrmann trova la giusta voce per raccontare una storia come accaduto con Romeo + Juliet e Moulin Rouge, allora è Cinema, di quello con la C maiuscola. Elvis è Cinema. È immagini al servizio della musica e viceversa. È sintesi ed esaltazione di informazioni e suggestioni, grandi interpretazioni, suono, costumi, coreografie. E, in questo caso, anche storia vera che, per quanto la si conosca già un po’, ora la si conosce meglio, non perché sommersi da dettagli, ma perché se ne è percepito il cuore, ciò che non sta nelle schede biografiche. E una volta che ti sei sincronizzato al suo battito, beh, è difficile da dimenticare. 

Quando si parla di Elvis non ci si riferisce solo alla sua carriera artistica, ma a tutta la mitologia che già all’epoca, e ancora oggi, ne fa una leggenda. Quando un personaggio è così grande, l’unico modo per raccontarne l'intimità senza rischiare di tradirne o banalizzarne la grandezza è farlo attraverso gli occhi di qualcuno che gli è stato vicino. E così fa Luhrmann che scegli il punto di vista del colonnello Parker (un grande Tom Hanks), il leggendario agente di Presley. È la sua voce fuori campo a spiegarci fin dall’inizio che sarà lui il villain, cattivo, della storia anche se non è propriamente d’accordo con questa visione, per lui erano imprescindibili l’uno all’altro, facce della stessa medaglia.

Ecco subito un salto indietro nel tempo, non l’infanzia di Elvis, ma a come i due si sono incontrati. Parker sente parlare di lui a Memphis. Le sue canzoni passano nelle radio della zona , ne parlano un po’ tutti. Fa musica da nero, ma è un bianco. Lo va a sentire dal vivo. Per le donne è isteria controllata, per lui è una possibile miniera d’oro. Lo prende sotto la sua ala. Lo porta in tour per gli States con altri musicisti della sua agenzia, ma ben presto è pronto a dedicarsi solo a lui. Elvis però deve essere d’accordo. E così si parlano. È la prima volta che Luhrmann ce li mostra insieme, nella stessa scena. È anche la prima volta che Elvis non balla o canta sul palco, ma parla, sta fermo, ci dà modo di capire meglio chi c’è dietro quell’oggetto del desiderio i cui effetti sulle persone che gli sono interno abbiamo imparato a conoscere nella mezz’ora precedente. Ora che l’iconografia è stata creata, che conosciamo il suo magnetismo e che forse anche noi, se non lo eravamo già, siamo diventati suoi fan, possiamo avvicinarci davvero a lui.

Baz Luhrmann’s ELVIS | Official Trailer > QUI

È un passaggio narrativo e visivo fatto con una tale naturalezza, una furba e irresistibile manipolazione delle nostre emozioni che dà la misura della bontà del lavoro fatto da Baz Luhrmann sia in fase di scrittura che di regia. E tutto questo non è neanche fatto solo con le musiche di Elvis a far da colonna sonora, anzi, fino a quel momento di lui abbiamo ascoltato poco. Abbiamo capito le sue influenze, il dove e come sia nato quel ritmo, ma la storia mostrata fino a quel momento si appoggia su canzoni anche attuali, ispirate forse da quel rock, ma non per forza. Al “da ora si ascolta solo Elvis” ci arriviamo anche qui gradualmente, ovvero quando ciò che canta diventa anche un modo per rivelarci chi è, cosa ama, cosa lo fa soffrire e come tutto questo diventi parte del suo stare sul palco.

Baz Luhrmann's ELVIS | "Hayride" Clip > QUI

I dettagli della biografici della sua storia ci sono tutti, il servizio di leva in Germania, il matrimonio con Priscilla, la nascita di Lisa Marie, l’esser diventato, volente o nolente, un simbolo politico, il legame con la mamma, il gruppo di “amici” di cui si circondò a lungo e che viene ricordato come “la Memphis Mafia”, il rischio bancarotta, vero e presunto che fosse, l’assurda “prigionia dorata” a Las Vegas e l'alcolismo. Qualcosa è giusto accennato, su altro, logicamente, ci si sofferma a lungo. Il totale sono due ore e quaranta di spettacolo eccezionale, un’emozione che nel finale, con la sovrapposizione tra l’Elvis filmico (un bravissimo Austin Butler) e quello reale, durante l’ultima sua esibizione prima del decesso, provoca una di quelle dolci commozioni (noi l’abbiamo provata al Festival di Cannes) che ti viene voglia di dire: “quanto è bello andare al cinema!”.

Elvis è un film bello nel senso profondo dell'aggettivo. 

fonte:  Di

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