Sconfortanti i risultati del rapporto dell'Agenzia dell'Unione
europea per i diritti fondamentali (FRA): 6 partecipanti su 10 evitano
di tenere per mano in pubblico il/la partner, 2 su 5 hanno subìto
molestie a causa della propria identità di genere o orientamento
sessuale
È STATO pubblicato il rapporto dell'Agenzia dell'Unione europea per i
diritti fondamentali (FRA) "A long way to go for LGBTI equality" (La
lunga strada da percorrere per l'uguaglianza delle persone LGBT), che
presenta i risultati di un'indagine online condotta dall'Agenzia tra il
maggio e il luglio 2019 nei 27 stati membri della UE, nel Regno Unito,
in Macedonia del Nord e in Serbia.
Il rapporto.
Il report parla di LGBT e discriminazione a livello europeo ed è
importante sia per l'ampiezza del campione coinvolto - parliamo di quasi
140.000 persone dai 15 anni in su che si identificano come gay,
lesbiche, trans e/o intersex - sia perché si basa sui racconti e le
esperienze che le persone partecipanti hanno deciso di condividere
compilando il questionario. "Racconti di prima mano - spiega Marta
Capesciotti, della Fondazione "Giacomo Brodolini",
contractor nazionale dell'Agenzia dell'Unione europea per i diritti
fondamentali (FRA) - sulla base di un approccio partecipativo che è
fondamentale quando si parla di discriminazione e gruppi oppressi a cui
troppo spesso viene tolta voce e visibilità".
Per stilare il rapporto, FRA si è avvalsa del supporto di organizzazioni
internazionali per i diritti umani e, ancor più importante, di esperti e
associazioni LGBT, così da affinare la metodologia di ricerca rispetto a
quella utilizzata nella survey già condotta dall'Agenzia su questi temi
nel 2012. "L'indagine - continua Capesciotti - si propone di
comprendere il vissuto e le esperienze delle persone LGBT su alcune
questioni chiave per una società inclusiva, quali il livello di apertura
rispetto alla propria identità, le esperienze di discriminazione, i
casi di violenza omo-lesbo-bi-transfobica, il ruolo della scuola nel
favorire e visibilizzare la diversità e il livello di integrazione
economica e lavorativa delle persone LGBT in Europa. L'obiettivo è
quello di comprendere i passi avanti o indietro fatti dall'ultima
indagine del 2012 e fornire indicazioni alla Commissione europea che
dovrebbe lanciare nel 2020 la LGBTI Equality Strategy".
La situazione in Europa.
I risultati che emergono dal rapporto non sono affatto confortanti ed è
la stessa Agenzia a concludere che i passi avanti fatti dal 2012 a oggi
siano assolutamente insufficienti e le differenze tra i vari contesti
nazionali continuano a essere rilevanti. In media, 6 partecipanti su 10
dichiarano di evitare di tenere per mano in pubblico la persona che
hanno scelto come partner; 2 su 5 hanno raccontato di aver subito
molestie a causa della propria identità di genere o orientamento
sessuale nell'anno precedente alla compilazione del questionario. Una
persona su 5 dichiara di sentirsi discriminata sul lavoro, e una su 3 di
sentirsi discriminata negli spazi pubblici di socializzazione, come bar
e ristoranti. Per quanto riguarda il ruolo delle istituzioni
scolastiche, uno studente LGBT su due ha riportato di sentirsi
supportato da qualche compagno di classe o dagli insegnanti. Nell'ambito
lavorativo, una persona LGBT su 3 ha dichiarato di fare difficoltà ad
arrivare alla fine del mese: difficoltà questa che colpisce in maniera
ancora più acuta le persone trans e intersex (una persona ogni 2
partecipanti). "La comunità trans e intersex - spiega Capesciotti - è
inoltre la più esposta alla violenza: una persona su 5 ha dichiarato di
essere stata aggredita fisicamente o sessualmente nell'anno precedente
all'indagine, il doppio rispetto al resto del campione".
La situazione in Italia.
I dati relativi al contesto italiano non sono più rassicuranti: basti
pensare che il 62% dei partecipanti ha raccontato di evitare di mostrare
in pubblico la propria affettività e il 30% di evitare spesso o sempre
di frequentare alcuni luoghi specifici per paura di subire aggressioni.
Solo il 39% del campione italiano esprime liberamente la propria
identità LGBT, a fronte di una media europea del 47%. "Non siamo
ovviamente immuni dalle discriminazioni - continua Capesciotti - che
vengono riportate dal 23% dei partecipanti per quanto riguarda il lavoro
e dal 40% in riferimento ad almeno un altro ambito della vita. Il 32%
dei partecipanti italiani ha, inoltre, raccontato di aver subito almeno
un episodio di molestia nell'anno precedente all'indagine e l'8% un
episodio di aggressione fisica nei 5 anni precedenti. Solo il 16% del
campione ha dichiarato di aver denunciato questi episodi alle forze
dell'ordine". In ambito scolastico, il 28% delle persone LGBT italiane
tra i 15 e i 17 anni ha raccontato di aver fatto coming out a scuola. Il
52% ha trovato qualcuno a scuola - tra insegnanti e gruppo dei pari -
che ha fornito sempre o spesso supporto e tutela. Solo il 33%, infine,
ha dichiarato che le questioni LGBT vengono affrontate in classe in modo
positivo o quantomeno equilibrato.
Uno dei dati più indicativi è che il campione italiano che ha
partecipato all'indagine di FRA ha dichiarato di percepire un generale
peggioramento delle condizioni di vita della comunità LGBT in Italia,
raccontando di un aumento del pregiudizio e dell'intolleranza (41% dei
partecipanti) e una scarsa fiducia nel reale impegno delle istituzioni
pubbliche (8% contro una media europea del 33%).
Diritti LGBT: un compromesso al ribasso.
"Al di là di questi dati, - spiega ancora l'esperta - che dicono
comunque già molto, non credo che l'Italia sia un paese all'avanguardia
non solo nella tutela ma anche nel riconoscimento dei diritti delle
persone LGBT. E penso si possa affermare da almeno due punti di vista.
Da un punto di vista istituzionale, penso al poco edificante dibattito
che ha accompagnato la legge sulle unioni civili del 2016: un
compromesso al ribasso che, per riconoscere una base davvero minima di
diritti e riconoscimento, ha costretto le persone LGBT a vivere sulla
propria pelle un dibattito parlamentare e pubblico a dir poco violento.
Ma penso anche al fatto che in Italia non si riesca ancora ad approvare
una legge che introduca un'aggravante di omolesbobitransfobia e che,
nelle audizioni parlamentari in materia, siamo ancora costretti ad
ascoltare persone teoricamente esperte che esprimono concetti
retrogradi, offensivi e discriminatori. Da un punto di vista culturale,
poi, il lavoro da fare è davvero immenso. Le aggressioni in strada sono
all'ordine del giorno, il bullismo anche".
Le persone LGBT, precisa Capesciotti, subiscono ancora violenza in casa,
senza che ci sia una rete solida di case rifugio e servizi dedicati
pronta ad accoglierle. I giornali ancora non hanno imparato a raccontare
le vite delle persone trans senza sbagliare i pronomi che quelle
persone hanno scelte per identificarsi, insultandone quindi l'identità e
andando addirittura a ripescare il nome registrato all'anagrafe, una
vera violenza che si chiama deadnaming. "È praticamente impossibile -
conclude - parlare nelle scuole di diversità di identità e orientamenti
sessuali: i detrattori dicono che sarebbe un modo per plasmare le menti
di bambini e adolescenti ma il punto è che il primo modo per abbattere
l'omolesbobitransfobia è decostruire l'idea che la normalità sia essere
eterosessuali e cisgender. Infine, ci tengo a ribadire un ultimo
aspetto. È davvero sconfortante che ci sia ancora chi - anche tra le
figure istituzionali - abusa del diritto fondamentale alla libertà di
espressione per arrogarsi la possibilità di offendere e denigrare:
negare la legittimità dell'esistenza delle persone non può chiaramente
essere un'opinione e non merita alcuna tutela".
fonte: di SARA FICOCELLI www.repubblica.it
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mercoledì 10 giugno 2020
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