Nei giorni scorsi i lavoratori del Carlo Felice hanno messo in scena un vero funerale per il loro teatro
I dipendenti del teatro genovese accettano l'accordo per ripianare i milioni di debiti
Evento storico ieri al quattordicesimo piano del Torrione del Carlo Felice: una consultazione tra i dipendenti, la prima nella vita del teatro, ha detto sì all'applicazione dei contratti di solidarietà, strumenti di ammortizzazione sociale mai utilizzati nell'ambito dello spettacolo.
L'Opera di Genova, in difficoltà più di altre ma non la sola nel panorama burrascoso della lirica italiana, potrebbe costituire un precedente.
Ed è anche questo a segnare una spaccatura, tutt'ora insanata, tra i sindacati Cgil Cisl e Uil (clamorosamente qui uniti alla firma dell'accordo con l'azienda) e gli autonomi di Fials-Cisal, Libersind e Snater che protestano contro «un referendum mascherato» e annunciano di non voler darsi per vinti, sventolando lo spauracchio di un'ingiunzione per il pagamento degli stipendi in arretrato, e conseguente procedura di fallimento del teatro.
Ma la consultazione ha anche fatto emergere la posizione di una massa fino a oggi silenziosa che ha ribaltato le proporzioni, ovvero 90 iscritti ai sindacati confederali contro i 120 degli autonomi, e ha detto sì al male minore, cioè due anni senza possibilità di licenziamenti, riduzione di un massimo del 40% di ore lavorative e del 20% dello stipendio per ciascun dipendente, con pagamento pieno dei contributi.
Inoltre ci sarà una verifica bimestrale e l'impegno del cda al pagamento degli stipendi di settembre e ottobre, rimasti in arretrato: mille euro entro novembre e saldo a giugno. L'alternativa, come comunicato dal cda della Fondazione, presieduto dalla sindaco Marta Vincenzi, sarebbero stati i libri in tribunale e la chiusura di fatto di un teatro che non ha un euro in cassa nè una banca che voglia più anticipare gli stipendi. Su 286 lavoratori a tempo indeterminato hanno votato, venerdì e ieri mattina, 166 dipendenti.
I sì sono stati 147, i no 17, con un astenuto e una scheda bianca. Una votazione difficile, in un'atmosfera tesissima, cominciata mentre a un piano di distanza si teneva l'assemblea degli autonomi. «Ci sono persone che hanno paura di venire a votare» la denuncia di Maria Pia Scandolo, segretario della Slc Cgil di Genova. E c'è stato anche chi è entrato e si è avvicinato al seggio per fotografare i votanti e le liste con i nomi dei dipendenti.
«Nella nostra assemblea abbiamo raccolto 150 consensi e andiamo avanti per la nostra strada» dice Roberto Conti dello Snater. Le cifre, però, non tornano, a meno che qualcuno non si sia pronunciato in entrambe le consultazioni, per evitare ritorsioni. Prima del voto, c'era stata la difficile giornata del 13, quando, dopo il via libera del ministro Bondi ai contratti di solidarietà (il ministro oggi si dice «soffisfatto del senso di responsabilità dei lavoratori»), sindacati e cda si erano incontrati e subito lasciati, tra grida e proteste, con gli autonomi assenti alla ripresa della trattative, concluse in tardissima serata nella sede di Confindustria da Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom Uil.
Una situazione difficile che aveva suscitato lo sfogo dell'assessore alla Cultura del Comune di Genova, Andrea Ranieri, ex leader sindacale, arrivato a rimproverare ai vertici del pd di non aver preso una decisa posizione nella vicenda, che pur vedeva la ritrovata compattezza di Cgil, Cisl e Uil.
Ora comincia un percorso tutto in salita. I sindacati torneranno al tavolo della trattativa per perfezionare l'accordo sulla base della programmazione che il sovrintendente Giovanni Pacor si è impegnato a presentare al più presto: da qui a fine anno dovrebbe sopravvivere una parte del cartellone a suo tempo presentato («Traviata» e un balletto) mentre da gennaio partirebbe un nuovo cartellone di dodici mesi costruito tenendo conto anche delle nuove esigenze contrattuali di tempi e di personale.
Le certezze consentiranno di cercare nuovi finanziamenti, nelle intenzioni della sindaco Marta Vincenzi, che ringrazia i lavoratori per il loro voto: «Adesso è la città tutta che deve impegnarsi, a fianco della Fondazione e degli stessi lavoratori: questo referendum, con il suo risultato, può segnare la rinascita del teatro e dare avvio alla sua ripresa».
La difficile situazione del Carlo Felice, creata da una passata gestione quanto meno imprudente (ottanta assunzioni in blocco prima ancora che venisse ricostruito il teatro bombardato, quando ancora l'opera andava in scena al Margherita, oggi grande magazzino; mancato accantonamento del fondo pensioni) aveva portato al commissariamento, conclusosi nel giugno scorso.
Subito dopo, il nuovo cda si era trovato davanti un rosso molto più profondo del previsto: 17 milioni di debito patrimoniale a fine 2010, interessi passivi di un milione e 300 mila euro, 12 milioni il debito finanziario.
«Non erano state pagate nemmeno le assicurazioni, in caso di incendio o di infortunio non avremmo avuto alcuna copertura» ha rivelato il direttore di staff, Renzo Fossati, la nuova figura di manager (voluta da Riccardo Garrone, il petroliere entrato nel cda della Fondazione insieme con Ernesto Lavatelli e Mario Orlando di Iride e Finmeccanica). Ma stasera torna la musica: alle 20,30 sale sul podio Fabio Luisi per un concerto aperto alla città, biglietti esauriti già nei giorni scorsi.
fonte www3.lastampa.it di ALESSANDRA PIERACCI
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