“Donnafugata”, ultimo romanzo di Costanza DiQuattro, narra le vicende di
Corrado Arezzo, barone per caso, ricco per uno strano scherzo del
destino, raffinato intellettuale per sua volontà, potente per capacità
personali e censo, uomo infelice per colpa del destino.
Il testo ha l’impianto del romanzo storico, tuttavia l’introduzione di capitoli in forma diaristica ed epistolare gli conferiscono un carattere di originale bizzarria.
Il primo capitolo è datato 23 aprile 1895, e l’ultimo 27 dicembre 1895, ma le vicende abbracciano circa un terzo di secolo, va da sé che fabula e intreccio non coincidono.
L’autrice ricorre all’analessi più volte; numerose le incursioni nel passato, per raccontare il furore risorgimentale del protagonista, le nobili frequentazioni e le discussioni appassionate con patrioti del calibro di Michele Amari; la cocente delusione per il fallimento dell’amministrazione sabauda e la vergogna per le false promesse di libertà e giustizia; la sensibilità artistica, che portò Corrado all’Internazionale di Dublino a rappresentare l’Italia; la sua audacia, il suo mecenatismo, prova ne sono le statuine del BonGiovanni Vaccaro, la Madonna del fiammingo Hans Memling, che acquistò per la sua casa e riportò affittando un vagone intero del treno, perché le opere d’arte non avessero a subire danni durante il trasporto. E poi l’atroce dolore per la perdita prematura della figlia, morta a Parigi in una sorta di esilio volontario, dopo aver consultato i luminari più accreditati.
Ogni capitolo funziona come un racconto di senso compiuto, e uno dietro l’altro ci regalano i particolari di una complessa vicenda, che solo in Sicilia avrebbe potuto accadere; perché è in questa terra che la storia dell’Italia intera è stata concepita e poi incubata.
Attorno al protagonista ruota un universo di personaggi dall’ingegno multiforme; i pensatori, ché fervida era la vita in quegli anni che precedettero e seguirono l’Unità d’Italia; un nugolo di serve devote, di mezzadri fedeli, prelati ossequiosi, operai laboriosi, che tenevano in piedi, robusta colonna vertebrale, la società produttiva del tempo.
L’autrice dà vita a un affresco colorito, descrivendo con dovizia di particolari le processioni, i pranzi succulenti; il mare che distanzia e separa, le case comode, eleganti, accoglienti; l’ombra e la luce di un barocco ancora lucido; la sofisticata Ragusa Ibla, con i suoi campanili e le palme che svettano contro un cielo indaco; il labirinto di Donnafugata, dove le due piccole nipoti si perdono, ma al tempo stesso dimorano al sicuro; e il labirinto della vita, nel quale il barone perde tutte le sue giovanili speranze, i propositi della maturità. Il severo castello, con le sue rose rosse e profumate, emblema di una carnalità trattenuta, che forse è la chiave di volta dell’amore eterno; infine la campagna dell’orto dei canonici, l’eremo solitario, privo di fronzoli, il rifugio di Corrado, che lì si concede finalmente il lusso della semplicità.
Vicissitudini di un’aristocrazia che abita una provincia lontana, ma che ben rappresenta, con le parentele diffuse in ogni angolo del pianeta, l’ombelico del mondo. Al profumo dell’inchiostro, a quello della carta, si somma la fragranza dei limoni, quelli che crescono nel giardino del castello; del gelsomino e del plumbago, che si arrampicano lungo i muri dorati di Ibla.
Lusso e ricchezza scorrono in ogni pagina come le immagini di un film; dagli eleganti e castigati vestiti della baronessa alle lisce sete dei divani, ai preziosi ricami delle tappezzerie, ai raffinati oggetti di arredo.
Storia d’amore il romanzo “Donnafugata”, dove l’amore pervade ogni relazione familiare, amichevole e professionale; e storia di coltello perché laddove la fedeltà è d’obbligo e la gratitudine scontata, cova il tradimento, l’inganno, la violenza.
Il gigantesco Corrado Arezzo torreggia tra le tante figure femminili, ma si fa piccolo accanto alla moglie che amò con passione e trasporto fisico. Le donne del romanzo, anche le più semplici, rivelano una psicologia complessa, che l’autrice tratteggia con delicatezza; e tutte vanno incontro a un destino doloroso, a riprova del fatto che i soldi non danno la felicità. Il barone stesso è un eroe tragico e moderno al tempo stesso; la sua vita pubblica fu costellata di successi, il suo privato fu un intreccio di sconfitte cocenti.
Il romanzo lascia nel lettore una impressione di bellezza e ingiustizia; ma anche la curiosità di sapere cosa ne sarà della progenie dello sfortunato Corrado, che tanto costruì nella sua vita non molto lunga e tanto perse in così breve tempo.
Dalla prefazione a “Donnafugata”, di Costanza DiQuattro, Baldini + Castoldi, 2020
fonte: di Giuseppina Torregrossa www.linkiesta.it
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