Undine lavora come storica presso il Märkisches Museum di Berlino: il suo compito è spiegare ai visitatori i plastici che raffigurano la città nei suoi progressivi stadi evolutivi. Undine è appena stata lasciata da Johannes, nonostante lui abbia giurato di amarla per sempre.
All'improvviso, però, nel bar del museo compare il sommozzatore Christoph, ed è amore a prima vista. Undine ricostruisce la sua vita come Berlino ha ricostruito molteplici volte sé stessa, ma una sera Christoph la chiama infuriato perché si sente tradito da lei, dal momento che non gli mai rivelato l'esistenza di Johannes. Come farà Undine a ricucire con Cristoph? E riuscirà a vendicarsi di Johannes, come aveva promesso prima di essere abbandonata?
Il tedesco Petzold rielabora alla sua maniera la figura mitologica dell'ondina, creatura marina del folklore europeo, con una storia d'amore e vendetta che si sviluppa nel corpo fisico di Berlino, tra architettura e cinema.
Costruire una città significa
pensare alla vita delle persone in termini di spazio: quale la ragione
di una costruzione, quale la sua storia, quale la sua destinazione. Allo
stesso modo, fare cinema è come allestire uno spazio: creare personaggi
all'interno di un ambiente, dare a ciascun di essi un passato, un
pensiero, raccontare lo sviluppo di una o più relazioni. Le storie
d'amore, poi, sono come città stratificate, ricordi sovrapposti, corpi
intrecciati, sentimenti vecchi ed emozioni nuove. Undine, lo
straordinario film di Christian Petzold presentato in concorso alla
70esima Berlinale, è una storia d'amore dentro una città, Berlino, e la
sua geografia carica di storia.
Punto di partenza è il Märkisches Museum, il museo dove la protagonista Undine
- interpretata da Paula Beer - spiega i grandi plastici della città, in
cui il colore degli edifici cambia a seconda dell'epoca d'appartenenza e
in cui passato, presente e futuro convivono. In questo luogo, e nel bar
adiacente la struttura, un amore finisce, un altro sboccia, una
maledizione viene lanciata e dal plastico si passa alla messinscena
realistica della storia come in un zoom di Google Maps. Il cinema, in
fondo, non ha una forma definita; il cinema è semplicemente vita nello
spazio.
Petzold lavora per piccoli ma continui rimandi interni; ricostruendo un
mito, racconta alla maniera del mito. Gli eventi del film riecheggiano
modelli ancestrali (un acquario si spezza e nell'inondazione d'acqua la
protagonista incontra la sua natura marina); le azioni e le inquadrature
rimano fra loro (rotture di oggetti, ripetizioni di situazioni, i corpi
ripresi di Paul Beer e Franz Rogowski ripresi frontalmente e poi di
spalle); il piccolo contiene il grande, e viceversa (un sommozzatore
giocattolo e un sommozzatore vero, il plastico di una città, la città
stessa e il racconto della sua evoluzione).
Undine ha una
struttura perfettamente congegnata, come i plastici che il regista filma
da vicino. La superficie delle sue immagini, dei corpi e degli elementi
naturali che raffigura, contiene la forza degli eventi: la terra
trattiene l'acqua (che però può esplodere, soffocare, accogliere nel suo
abbraccio), «un palazzo del XXI secolo che ancora non esiste», come
dice la protagonista a proposito dell'Humboldt Forum, progetto museale
che avrà sede nel ricostruito Palazzo di Berlino, «sarà la replica di
uno del XVIII, perché nulla evolve». Per questo motivo il film può
apparire oscuro, forse freddo, eppure nella sua progressione quasi
cantilenante è emotivamente potentissimo, ermetico da comprendere,
emozionante da vedere. Petzold racconta fedelmente la maledizione del
Sonno dell'Ondina, leggenda in cui la creatura marina si vendica del
cavaliere che non ha saputo amarla, ma prosegue oltre con il suo
racconto.
Undine è la storia di un amore che finisce, rinasce, muore
ancora e poi ricomincia, sempre uguale a sé stesso e sempre diverso. Il
mito resta intatto come modello -
è uno sguardo a pelo d'acqua, un nome scritto sulla pietra, una città
che rinasce dalle sue rovine - ma il cinema lo aggiorna, riportandolo
dall'universale al particolare, dall'esistenza eterna alla vita mortale
fonte: Recensione di
Roberto Manassero www.mymovies.it
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