Katie e Arin sono una coppia di adolescenti transgender dell’Oklahoma. Non hanno neanche venti anni e si sono innamorati.
Kate, appena iniziato il passaggio da maschio a femmina, è stata vittima di bullismo transfobico a scuola e per questo si è rivolta a un gruppo di sostegno. Qui ha incontrato Arin, nato femmina e in transizione verso il genere maschile. I ragazzi oggi appaiono sereni, determinante è stata per loro la mano tesa delle famiglie.
Ma cosa succede ai tanti Katie e Arin che in Italia sono alle prese con un disagio rispetto al genere? Nel nostro paese i centri sono pochi, la richiesta è in aumento, e la risposta deve essere offerta da operatori con esperienza consolidata.
A Napoli un team di psicoterapeuti è in forza dal 2005 presso l’“Unità Operativa Complessa di Psicologia” che fa parte dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II.
In otto anni ha seguito circa 90 famiglie con figli che presentano problematiche nell’ambito dell’identità di genere (età tra 15 e 17 anni).
Quali sono le richieste dei ragazzi? “I giovani vengono per essere aiutati ad iniziare un trattamento ormonale”, dichiara Paolo Valerio, presidente Osservatorio nazionale identità di genere (Onig) e professore di psicologia clinica alla Federico II.
E i parenti accolgono o rifiutano? “Desiderano che i ragazzi cambino idea e auspicano un intervento riparativo. La prima reazione dei genitori è la vergogna, alcuni dicono: “gay sì trans no” , ” per me è una cosa impensabile ed inimmaginabile, non lo accetto”, “se ne deve andare via di casa, non voglio assistere a questo cambiamento”, “se continua così sono costretto a cambiare città, non posso fare davanti a tutti questa cattiva figura””, aggiunge Paolo Valerio. A scuola va meglio? “Le reazioni della scuola e degli amici sono molto diverse.
I professori di solito fanno finta di non vedere il problema. Tra i compagni di classe c’è chi comprende e chi, invece, esercita azioni di bullismo transfobico. Gli amici, al contrario, in genere accettano e diventano una preziosa risorsa per il ragazzo”. Occorre lavorare su più fronti: “Il nostro obiettivo è aiutare i ragazzi a conoscersi e a comprendere meglio chi sono e quello che desiderano essere.
Alcuni di loro sono stati seguiti anche per anni (fino a sette e la terapia è ancora in corso). Secondo il nostro gruppo la psicoterapia nel caso di ragazzi gender variant va intesa come un percorso di accompagnamento e di sostegno per aiutarli ad affrontare le complesse vicissitudini connesse al momento evolutivo che si trovano ad attraversare”.
Tra i problemi, la questione risorse. C’è una fondazione, “Genere Identità e Cultura”, che eroga borse di studio ad hoc, ma “sarebbe opportuno un interesse anche del Servizio sanitario nazionale, in quanto interventi precoci riducono il rischio di forme psicopatologiche in età adulta conseguenti a stigma e pregiudizi”, aggiunge il professor Valerio. Basti pensare che si sono rivolte al centro anche famiglie con bambini gender variant di 5 e 6 anni. Ancora.
Diventa fondamentale una azione culturale che incrini stereotipi e pregiudizi: “E’ ineludibile associare all’intervento offerto alla famiglia ed al ragazzo anche azioni rivolte alla scuola per prevenire e combattere pregiudizi e stigma, ma con quali fondi?”, osserva Paolo Valerio.
Della questione si parlerà al convegno internazionale “Varianze di genere” che si terrà a Napoli il 26 e il 26 ottobre organizzato da Onig con il patrocinio dell’Unar. Urge focalizzare l’attenzione non solo sui ragazzi ma anche sul contesto – famiglia e società – da considerare “in transito”.
Che messaggio dare ai genitori? “Per aiutarli a sfuggire ai profondi sensi di colpa e ai vissuti di inadeguatezza ribadirei che quanto accade non è colpa di nessuno. Se i genitori auspicano che lo psicologo faccia “guarire ” il ragazzo rimarranno delusi.
Non si tratta di una malattia da curare. La terapia non mira a far cambiare idea al figlio e se i genitori dovessero decidere, di fronte ai mancati risultati attesi, di interromperla, gli procurerebbero un grave danno”. Anche i genitori hanno bisogno di sostegno: “Suggerisco a padri e madri di intraprendere un percorso di accompagnamento psicologico per comprendere quanto sta accadendo al loro figlio o alla loro figlia al fine di accettarli e continuare ad amarli qualunque strada possano intraprendere.
Sono loro l’unico porto al quale i ragazzi possono rivolgersi in caso di un rifiuto da parte della società che in una fase della vita così complessa e delicata qual è l’adolescenza potrebbe risultare devastante”.
fonte http://liberitutti.com.unita.it/Autore: Delia Vaccarello
Nessun commento:
Posta un commento