Un saggio da leggere tutti i giorni dell'anno ovviamente, non soltanto l'8 marzo, per capire come ''trasformare in pensiero, racconto, sentimento e azioni condivise'', quello spazio buio, silenziato, cancellato, in cui nei secoli le donne sono state relegate, con il loro valoro ''materiale, culturale, creativo''.
Questa visione va affrontata, secondo Brogi, anche ''liberandoci per esempio del pregiudizio per cui occuparsi di culture e opere lontane possa essere un gesto neutro, indifferente alla storia del dominio e allo spazio delle donne''. Insomma rimuovere gli elementi di misoginia nella storia della cultura è necessario, senza per questo cadere nell'errore di condannare la grandezza dell'arte, è solo un fatto di chiarezza senza sprofondare nei confini del politicamente corretto. ''La cancel culture non appartiene al futuro ma all'emergenza presente'', come del resto nella storia è sempre accaduto quando è stato necessario riportare il discorso culturale su una strada di giustizia.
Le donne del passato non sono solo ''le eroine, le principesse, le eccentriche'', ma anche tante altre che devono essere portate fuori dallo spazio dei luoghi comuni in cui troppo spesso sono relegate, nella generica definizione di ''gente'' contrapposta al valore maschile in primo piano. Nella letteratura come nella realtà, ci racconta Brogi, spesso le donne sono state limitate o addirittura segregate (e in molti paesi lo sono ancora) in luoghi chiusi: giardini, case, salotti, collegi, cucine, stanze da letto. Così spesso davanti ad un camino da diventare l'angelo del focolare, prima figura combattuta da Virginia Woolf.
''Avere uno studio'', come chiede in modo illuminante Alice Munro, è occupare uno spazio tuo che dia dignità a quello che fai proiettandolo fuori dalle mura domestiche, così così difficile da percorrere anche per le donne che pure quel posto nella società e nella cultura se lo sono guadagnato.
La conquista di questo spazio non è solo fisica ma anche e soprattutto intellettuale, perchè come scrive bene Daniela Brogi ''scrivere, creare, è esso stesso uno spazio delle donne: non necessariamente separato e contrapposto, ma un territorio in cui chi dice 'io' sta cercando di dire anche ''noi''.
Uno spazio in cui sono
troppo spesso solo le donne a parlare di donne, una battaglia da fare
senza vezzeggiativi, senza perdere tempo in chiacchiere rumorose come
sottolinea giustamente l'autrice ma piuttosto per riportare 'con forza
'questa verità'' nei luoghi ''anche istituzionali del sapere''.
Spazi in in cui ''i diritti dei gruppi e delle minoranze andranno
rinegoziati e ripensati via via anche facendo attenzione a non
cancellare i corpi e gli spazi delle donne'' che rischiano di finire in
un nuovo oblio che ha nomi diversi ma stessa sostanza. (ANSA).
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