Dietro la porta della dottoressa Giulia Lo Russo c’è qualcosa di molto simile alla felicità: dal suo studio esce una coppia, un uomo e una donna, che ne è il perfetto ritratto. Si tengono per mano, hanno entrambi un sorriso così contagioso da strapparne uno anche a me. “Un controllo a un mese dall’intervento, e l’emozione di vedersi in quel corpo cercato da sempre, genera questa felicità a effetto domino”, spiega la dottoressa. Marc (chiameremo così l’uomo della coppia, ndr) è un ragazzo transgender, un mese fa è entrato in sala operatoria per sottoporsi alla mascolinizzazione del torace che consiste nella rimozione del seno per eliminare così qualsiasi traccia del profilo femminile. La sua gioia, oggi, è incontenibile. Marc ha chiuso un capitolo della sua vita.
“Col mio bisturi curo l’anima”
Giulia Lo Russo è medico di chirurgia plastica, ricostruttiva ed estetica. Da molti anni si occupa di chirurgia di riassegnazione di genere. “Per me la chirurgia è uno strumento che permette anche di curare l’anima”, chiarisce. E i suoi pazienti per guarire la loro anima arrivano da strade costellate da profonda sofferenza: un lungo percorso di transizione, tra pregiudizi e molto spesso mancanza di diritti, che in molti casi inizia già dall’infanzia. Disforia di genere. Questa la parola che descrive il malessere vissuto da chi si sente imprigionato in un corpo ‘bugiardo’ che non rappresenta l’identità di genere sentita. Disforia deriva dal greco dysphoría, composto di dys “male” e phérein “sopportare”. “Mal sopportazione” dunque. E quando la parola si applica alla sessualità indica il malessere percepito da un individuo che non si riconosce nel sesso biologico (maschile o femminile) assegnatogli alla nascita. È bene sottolineare però che molte persone transgender non mostrano un disagio per i propri caratteri sessuali e hanno un rapporto sereno e armonioso con il proprio corpo.
Dottoressa da dove nasce il suo interesse per la chirurgia di riassegnazione di genere?
“Da molto lontano. Al quinto anno di medicina mi recai a Roma per seguire un congresso in questa materia. Era il 1995. In Italia eravamo gli albori di questa disciplina. Me ne appassionai subito. I primi anni collaborai con l’urologia nel campo della chirurgia uro-ginecologica della riassegnazione di genere da uomo a donna. Da una decina di anni mi occupo della chirurgia mammaria dei transgender e in particolar modo della transizione da donna a uomo, quindi della mastectomia con creazione del torace maschile”. Foto: Giulia Lo Russo, medico specializzata in chirurgia plastica, ricostruttiva ed estetica
Come funziona il percorso di transizione in Italia?
“Se alcune persone transgender, non tutte ne sentono la necessità, decidono di intervenire sul proprio corpo per renderlo più simile al loro sentire, il percorso che dovranno affrontare sarà multidisciplinare. Il primo step sarà con uno psichiatra o uno psicoterapeuta. Se durante questa fase viene accertata una intensa e persistente sofferenza causata dal sentire la propria identità di genere diversa dal sesso assegnato alla nascita, si potrà iniziare il trattamento ormonale. Quindi sarà necessario rivolgersi a un endocrinologo. La terapia può essere mascolinizzante o femminilizzante. Il trattamento ormonale sarà comunque personalizzato a seconda delle esigenze e degli obiettivi che la singola persona intende raggiungere”.
Immaginiamo ci sia un decorso medico ed uno “sociale”
“Esatto Per circa un anno la persona vivrà in società come uomo o come donna, a seconda del genere in cui si riconosce. Il passaggio successivo è il cambio dei documenti anagrafici che avviene solo dopo la sentenza del Tribunale di residenza. Per ottenere i nuovi documenti si deve dimostrare al giudice di essere certi, dopo aver vissuto per dodici mesi nel genere sentito, di non voler tornare più indietro. Per chi lo desidera è anche possibile farsi autorizzare, sempre dal tribunale di residenza, gli interventi chirurgici per cambiare sesso. In Italia, per legge, un medico non può asportare un organo sano. È quindi necessario che un giudice lo consenta espressamente, come forma di tutela per la saluta psicofisica della persona”.
Qual è l’intervento più complesso? Da femmina a maschio o viceversa?
“Per la parte superiore, quella toracica, è più complesso l’intervento da femmina a maschio: in questo caso si esegue una mastectomia, viene cioè rimosso il tessuto mammario e vengono riposizionati l’areola e il capezzolo. Anche per quanto riguarda la chirurgia dei genitali, la falloplastica è molto più complessa di una ricostruzione di neo vagina. Quindi in generale è più complesso l’intervento da femmina a maschio”.
Per la sua esperienza, in quanto tempo si matura la decisione di sottoporsi a un intervento chirurgico di riassegnazione di genere?
“Non è tanto la decisione di sottoporsi all’intervento, ma tutto il percorso è frutto di un lungo viaggio verso se stessi. Si tratta del bisogno di cercare la verità, un’esigenza che nasce fin da bambini. Già a tre anni queste persone percepiscono di trovarsi in un corpo sbagliato. Poi con l’adolescenza questo disagio esplode e questi ragazzi, o ragazze, cadono in profondi stati depressivi e le famiglie spesso ignorano il perché”.
Come viene vissuta la scelta di un percorso di riassegnazione di genere all’interno di una famiglia?
“Ho trovato di tutto, da genitori super accoglienti, ad altri che accettano la scelta dei figli ma che non riescono poi a chiamarli con pronomi diversi. Ho trovato genitori imbarazzatissimi e disperati. Ho visto persone buttate fuori di casa. Comunque quello che posso dire è che col passare degli anni c’è molta più accettazione. Dieci anni fa vedevi ragazzi soli, adesso arrivano coi genitori che vogliono saper tutto sull’intervento chirurgico”.
C’è un dubbio, o una paura ricorrente, in chi si sottopone a questi interventi?
“Assolutamente no. All’intervento arrivano tutti convinti e prontissimi. Sfiniti da un iter legale molto lungo. Occorrono anni per arrivare alla sentenza del tribunale che consenta il cambio di genere. Per anni queste persone vivono nell’esasperazione dell’attesa. Con la pandemia peraltro i tempi per arrivare all’intervento si sono fatti ancora più lunghi. Immaginiamo per un attimo cosa possa provare una persona che ha iniziato il suo percorso di transizione, acquisendo i caratteri del genere desiderato con le cure ormonali. Faccio un esempio: se la transizione è da donna a uomo, negli anni di cure ormonali la voce muta come tutte le caratteristiche estetiche. Sui documenti però rimane il genere femminile e il ragazzo ha ancora il seno. Diventa frustrante anche il solo spogliarsi in spiaggia o presentare un documento di identità. Quindi si capisce quanto il periodo di attesa tra la terapia ormonale in atto e l’intervento chirurgico costituisca un disagio enorme”.
Che rapporto si instaura tra lei e il paziente?
“Molto intenso. Sono tutte persone bellissime con una grandissima attitudine alla ricerca della verità di se stessi. Diventano degli amici con i quali condivido l’emozione della loro rinascita. Mi rendono partecipe delle loro vite. Mi mandano ad esempio foto o video della loro prima volta al mare. Un paziente si è persino tatuato il mio nome”.
Lei ai suoi pazienti, in un certo senso, restituisce la vita…
(Sorride) “Il primo intervento che di solito fanno con me è quello della mastectomia e quindi è la prima volta che il loro corpo cambia davvero notevolmente. Per la prima volta si guardano allo specchio e si riconoscono nel loro corpo. Eliminano una parte odiatissima. Ho visto fiocchi azzurri al letto del paziente, lacrime di gioia. Sì, vedo un grande senso di rinascita”.
Quanto è importante saper usare le parole giuste?
“È fondamentale. È assolutamente da abolire l’uso del nome di nascita e si deve chiamare il paziente col nome che ha scelto. Non uso mai la parola transessualismo, in quanto la riassegnazione di genere non ha nulla a che vedere col sesso, è una questione di identità e genere perciò uso solo la parola transgender. Poi è fondamentale l’uso corretto del pronome”.
A quale età può iniziare il percorso di transizione?
“La cura ormonale si può iniziare prima dei 18 anni. Mentre l’intervento chirurgico, dopo la maggiore età”.
Il paziente più anziano che ha operato?
“Ho fatto interventi su pazienti ultrasessantenni che hanno aspettato di crescere i figli prima di intraprendere questo percorso. Dopo una vita ingabbiati in un’identità che sentivano diversa rispetto al proprio sesso biologico, hanno deciso di riallineare l’identità sentita e il corpo. Non è mai troppo tardi per essere se stessi”.
Una domanda che non le ho fatto ma che avrebbe voluto le facessi perché la ritiene importante?
“Vorrei si conoscesse l’esistenza del portale www.infotrans.it È il primo sito istituzionale dedicato al benessere e alla salute delle persone transgender. Frutto di una collaborazione tra il centro di riferimento per la medicina di genere dell’Istituto superiore di sanità (Iss) e l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali della Presidenza del Consiglio dei Ministri (Unar). Il progetto risponde all’esigenza di fornire alla popolazione informazioni indipendenti, certificate e aggiornate in questo campo per favorire anche una piena inclusione sociale”.
fonte: di Serena Valecchi https://luce.lanazione.it
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