Washington torna a influire positivamente sul resto del mondo «per vivere in pace, sicurezza e prosperità». E per proteggere i diritti umani di chi viene discriminato. Intanto, gli Stati Uniti decuplicano il numero di rifugiati che sono disposti ad accogliere
Ha scelto il Dipartimento di Stato, bollato da Donald Trump come «the Deep State Department», e non il Pentagono o la Cia per annunciare, due giorni fa, una «nuova era» degli Stati Uniti sullo scacchiere internazionale e ridare centralità alla diplomazia a stelle e strisce, costantemente umiliata dal suo predecessore. Così, il primo ministero visitato da Joe Biden dopo l’insediamento alla Casa Bianca è stato anche il luogo del suo primo discorso sulla politica estera. «La diplomazia è tornata», ha detto Biden, per il quale investire in essa «è la cosa giusta da fare per il mondo. Lo facciamo per vivere in pace, sicurezza e prosperità. Lo facciamo perché è nel nostro assoluto interesse».
Fermezza verso Cina e Russia, riapertura condizionata all’Iran in tema di nucleare per una «nuova intesa più forte e duratura», mano tesa agli alleati ma senza cedimenti sui diritti umani. A partire dalla fine del sostegno a Riad nella guerra in Yemen.
E proprio in tema di diritti umani Biden ha parlato di due provvedimenti di peso, già preannunciati nella mattina di giovedì: un ordine esecutivo per garantire l’aumento del numero di rifugiati da accogliere negli Stati Uniti e un memorandum per proteggere i diritti delle persone Lgbtqi+ nel mondo.
E così, dopo la revoca del bando trumpiano a immigrati e richiedenti asilo provenienti da Paesi africani a maggioranza musulmana, la moratoria sulle deportazioni e il Memorandum sui Dreamers, il presidente si è impegnato ufficialmente a realizzare quanto promesso il 12 novembre durante un evento virtuale di raccolta fondi del Jesuite Refugee Service, diretto dall’amico Leo J. Donovan: portare a 125mila il numero di nuovi rifugiati da accogliere negli Stati Uniti rispetto ai 15mila previsti da Trump. Un tale aumento avverrà entro il primo anno fiscale completo della nuova Amministrazione con inizio il 1° ottobre.
La questione dei rifugiati e richiedenti asilo è stata parimenti affrontata nel “Memorandum sulla promozione dei diritti umani delle persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender, queer e intersessuali nel mondo”, pubblicato sul sito della Casa Bianca al termine della visita al Dipartimento di Stato e presentato poco prima dallo stesso Biden quale mezzo «per ricostruire ulteriormente la nostra leadership morale. Faremo in modo che la diplomazia lavori per promuovere i diritti di quegli individui, incluse la lotta alla criminalizzazione e la protezione dei rifugiati Lgbtqi+ e dei richiedenti asilo».
E così, dopo l’ordine esecutivo «sulla prevenzione e la lotta alla discriminazione sulla base dell’identità di genere o dell’orientamento sessuale», firmato il giorno stesso dell’insediamento alla Casa Bianca, e la revoca dei due Memorandum trumpiani – rispettivamente del 25 agosto 2017 e 23 marzo 2018 – sul divieto di arruolamento e servizio nelle Forze armate per le persone transgender, il nuovo provvedimento è un’ulteriore riprova di quanto i diritti Lgbtqi+ siano una priorità assoluta per Biden. Realizzazione progressiva, dunque, di ciò che lui stesso aveva promesso durante la campagna presidenziale e preparazione a quello che ne sarà il culmine: l’approvazione dell’Equality Act, specifica legge sui diritti delle persone Lgbtqi+, entro i primi 100 giorni della sua Amministrazione.
Suddiviso in un preambolo e sette sezioni, il provvedimento del 4 febbraio, che riafferma e integra i principi stabiliti nel Memorandum di Barack Obama del 6 dicembre 2011, parte dall’assunto secondo il quale «tutti gli esseri umani dovrebbero essere trattati con rispetto e dignità e dovrebbero essere in grado di vivere senza paura indipendentemente da chi sono o da chi amano. In tutto il mondo, come anche qui a casa, i coraggiosi attivisti Lgbtqi+ si battono per la parità di tutela legale, la libertà dalla violenza e il riconoscimento dei loro diritti umani fondamentali».
In esso si ricorda che «gli Stati Uniti sono in prima linea in questa lotta, esprimendo e difendendo i nostri valori più cari. Sarà politica degli Stati Uniti porre fine alla violenza e alla discriminazione basate sull’orientamento sessuale, sull’identità o espressione di genere o sulle caratteristiche sessuali, e guidare con la forza del nostro esempio la promozione dei diritti umani delle persone Lgbtqi+ nel mondo».
Indirizzato alle agenzie statunitensi che lavorano all’estero, il memorandum indica come loro primaria azione un impegno maggiore «nel combattere la criminalizzazione dello status Lgbtqi+ da parte dei governi stranieri o espandere gli sforzi per combattere la discriminazione, l’omofobia, la transfobia e l’intolleranza sulla base dello status o della condotta Lgbtqi+». Vengono poi date ampie istruzioni perché siano considerate le risposte appropriate, inclusa la vasta gamma degli strumenti diplomatici e assistenziali fino alle sanzioni finanziarie e restrizioni sui visti, ogniqualvolta «i governi stranieri si muovono per limitare i diritti delle persone Lgbtqi+ o non riescono a far rispettare le protezioni legali in atto, contribuendo in tal modo a un clima di intolleranza».
Si ordina inoltre al Dipartimento di Stato d’includere nel suo rapporto annuale sui diritti umani i relativi abusi subiti dalle persone Lgbtqi+ a livello globale, comprese «le leggi anti-Lgbtqi+ così come le violenze e le discriminazioni commesse da attori sia statali sia non statali» nei riguardi delle stesse.
Per comprendere meglio tali direttive, bisogna ricordare che in 67 Paesi i rapporti consensuali tra persone dello stesso sesso sono puniti per legge con pene carcerarie fino all’ergastolo. Numero che, in realtà, va portato a 69 considerando che in Egitto e Iraq sono criminalizzati de facto. In cinque Paesi vige inoltre la pena di morte: mentre in tre di essi (Arabia Saudita, Iran, Yemen) essa è applicata sull’intero territorio statale, negli altri due (Somalia e Nigeria) solo in alcune specifiche province. In altri sei, infine, cioè Afghanistan, Brunei, Emirati Arabi, Mauritania, Pakistan, Qatar ne è contemplata la possibilità anche se da tempo non è irrogata a chi si macchiasse di “sodomia”.
È vero che tre anni fa, su spinta di Richard Grenell, già ambasciatore in Germania e poi direttore ad interim della National Intelligence, la Casa Bianca aveva lanciato una campagna per la depenalizzazione mondiale dell’omosessualità, illustrata dallo stesso Donald Trump, il 24 settembre 2019, all’Assemblea generale dell’Onu. Ma essa si è di fatto risolta con un nulla di fatto, diventando uno strumento di propaganda utilizzata per lo più dal tycoon per attaccare soprattutto i governi nemici.
Come dichiarato a Linkiesta da Ivan Scalfarotto, deputato di Italia viva e sottosegretario agli Affari esteri fino al 14 gennaio scorso, l’impegno «formalmente assunto dall’Amministrazione Biden è davvero una bella e significativa notizia ed è politicamente un enorme passo. Il memorandum riconosce infatti i diritti Lgbtqi+ come diritti umani in tutto il mondo e stabilisce un’agenda che aspira a diventare una priorità strategica anche al di fuori dei confini americani. Mi colpisce in particolare la volontà di creare un fronte di nazioni “like-minded” che siano alleate in questa battaglia e spero che l’Italia voglia essere in prima fila tra i Paesi che accetteranno di affiancarsi agli Stati Uniti nel combattere la discriminazione e proteggere le vittime delle violenze e degli abusi omofobici e transfobici a livello internazionale».
fonte: di Francesco Lepore www.linkiesta.it
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