L'obiettivo è fotografare persone spesso emarginate dalla società e dal sistema sanitario.
CHE differenza c’è tra la parola transgender e la parola transessuale?
Con quale genere rivolgersi a una persona che non si riconosce nel
proprio corpo? Lo smarrimento linguistico di buona parte degli italiani
riflette l’imbarazzo del nostro Paese nei confronti delle persone la cui
identità di genere non è allineata al sesso assegnato alla nascita.
Questo imbarazzo è perfino statistico: ad oggi, non abbiamo idea di
quante siano le persone transgender in Italia. Per colmare questa
lacuna, Azienda ospedaliera universitaria Careggi, Università di
Firenze, Istituto superiore di sanità, fondazione The Bridge con il
supporto dell’Osservatorio nazionale sull’identità di genere hanno
avviato uno studio di popolazione chiamato SPoT. Un gioco di parole che
intreccia la missione dell’indagine, cioè la Stima della Popolazione
Transgender adulta in Italia, e il verbo inglese ‘spot’ cioè
individuare.
Tramite un brevissimo questionario del tutto anonimo da
compilare online (all'indirizzo: www.studiopopolazionespot.it/)
e rivolto alla popolazione generale, i ricercatori sperano di
quantificare per la prima volta la numerosità di questa popolazione
vulnerabile e spesso invisibile. Quando non apertamente discriminata.
“I dati della letteratura scientifica internazionale suggeriscono che la
percentuale di popolazione transgender dovrebbe essere compresa tra lo
0,5 e l’1,2% del totale. Se confermata anche nel nostro Paese,
consterebbe in circa 400 mila italiani” spiega Marina Pierdominici,
ricercatrice del Centro di riferimento per la medicina di genere
dell’Istituto superiore di sanità. Nel nostro Paese, i dati disponibili
più recenti risalgono ad uno studio, pubblicato nel 2011, che
considerava la popolazione transgender adulta sottoposta a intervento
chirurgico di affermazione di genere tra il 1992 e il 2008. Lo studio
riporta un numero pari a 424 donne transessuali e 125 uomini
transessuali. “Tuttavia si tratta di una stima minima, limitata a un
sottogruppo di una popolazione più vasta ed eterogenea: non tutte le
persone sentono la necessità di sottoporsi a trattamento chirurgico o
ormonale” prosegue la ricercatrice, sottolineando come la carenza
informativa si traduca nella mancanza di una programmazione sanitaria
efficace, “ostacolata anche dall’assenza di informazioni sulla salute
generale della popolazione transgender”.
Quella transgender è una fascia di popolazione marginalizzata rispetto
alle politiche sanitarie con ostacoli nell’utilizzo dei servizi sanitari
sia generali che specialistici. Per esempio, le possibili interazioni
farmacologiche tra i trattamenti ormonali e altre terapie sono spesso
ignorate mentre le persone transgender che hanno ottenuto il cambio
anagrafico possono avere difficoltà ad accedere ad alcuni programmi di
screening previsti per la popolazione generale. “La situazione in Italia
è a macchia di leopardo: i centri specializzati nella medicina di
genere sono pochi e concentrati soprattutto al nord; alcune regioni si
fanno carico dei trattamenti ormonali mentre altre no” ricorda
Pierdominici. Le radici dell’inadeguatezza del personale sanitario nel
trattare le persone transgender affondano nell’assenza di corsi dedicati
all’interno delle facoltà universitarie. Non solo a livello clinico ma
anche di informazione e sensibilizzazione degli operatori. Le cartelle
cliniche non riportano l’identità di genere e così può capitare che
donne transessuali siano ricoverate in reparti maschili e viceversa.
Inoltre, lo stigma sociale spesso spinge queste persone a rivolgersi al
mercato nero dei farmaci piuttosto che consultare il proprio medico.
“La conoscenza del numero reale delle persone transgender rappresenta il
primo passo verso l’effettiva presa in carico di questa fascia di
popolazione da parte del sistema sanitario. Ciò consentirebbe un
miglioramento della qualità di vita e della salute, nonché
un’ottimizzazione della spesa sanitaria nazionale” sostiene
Pierdominici. Parallelamente, andranno moltiplicati gli sforzi di
sensibilizzazione sia degli operatori sanitari sia della popolazione
generale, a partire dall’uso della terminologia corretta. Ecco perché,
al termine del questionario, l’utente riceverà un manualetto contenente
le definizioni più adatte. Che differenza c’è tra la parola transgender e
la parola transessuale? Per scoprirlo non vi resta che compilare il
questionario.
fonte: di DAVIDE MICHIELIN www.repubblica.it
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martedì 14 gennaio 2020
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