Eduardo Savarese, magistrato di professione, è anche uno scrittore di romanzi a tematica lgbt: il suo primo romanzo “Non passare per il sangue”, storia omosessuale vissuta all’interno dell’esercito, rivisitazione da L’amore assente, ha avuto un buon successo.
E’ appena uscito il suo secondo romanzo “Le inutili vergogne”, edito sempre da E/O, presentato lo scorso giovedì 23 ottobre presso Rain, circolo culturale lgbt di Caserta, e la cui narrazione si focalizza sul rapporto difficile e ostile tra omosessualità e Chiesa.
Gli amori, gli affetti, il peccato, i sensi di colpa, la pressione di una cultura, quella cattolica, che inevitabilmente influenza vite ed esperienze di persone che vivono il nostro contesto, i corpi, la loro esaltazione, il loro mutamento, le questioni dell’identità di genere sono le parti portanti della storia su cui si evolve il romanzo: abbiamo intervistato Eduardo, affrontando anche questioni da lui affrontate attraverso la sua attività giurisprudenziale e giuridica in riferimento ai diritti lgbt.
Come è nata l’idea del libro?
L’idea è nata da tre nuclei, due immaginativi, l’altro più concettuale. Il primo nucleo: un personaggio di un certo peso sociale e di età matura, che “esplodesse” portando alla luce tutto quanto teneva nascosto; il secondo nucleo: una creatura transessuale, che fosse per certi versi inquietante e poco credibile, per altri l’ancora di salvezza del protagonista; il terzo nucleo, concettuale, fare narrativa intorno al rapporto tra corpo e anima.
Sei magistrato e ti occupi di diritti, spesso violati: quale è la situazione attuale a livello culturale e giuridico che il Paese sta affrontando in merito ai diritti Lgbt?
Il livello giuridico, se pensiamo alla mancanza di norme, è molto buono: i giudici cercano di tutelare i diritti e di trovare un concreto spazio di vita per essi: credo che a livello culturale ci sia ancora molta confusione, ed una comunicazione che stenta a fare chiarezza.
Diverse iniziative come affermazione civile promuovono i diritti nella loro affermazione, appunto, attraverso ricorsi e procedimenti giudiziari: quali sono gli effetti di questo percorso ormai affermato da più anni attraverso l’esperienza di diverse associazioni per i diritti Lgbt? È utile come metodo in un contesto giuridico basato sulla legge scritta e non sul precedente giurisprudenziale?
E’ utilissimo: viviamo in un sistema giuridico transnazionale e la creazione giurisprudenziale del diritto è ormai al centro.
Veniamo al libro che hai avuto modo di presentare presso Rain lo scorso giovedì, “Le inutili vergogne”: il titolo, perché una scelta così diretta, anticipatrice e manifesta del contenuto che il lettore si attende nella lettura? Esiste una scelta letteraria in questo?
Il titolo del romanzo è quasi didascalico, lo so: tuttavia, leggendolo fino all’epilogo, credo si comprenda che il percorso tracciato, e vissuto dai personaggi, è meno scontato e politicamente corretto di quanto il titolo lasci immaginare; direi, quindi, che è un procedimento letterario improntato all’ironia, nel senso più proprio del termine, quello che ha dato vita al titolo.
Le reazioni da parte del pubblico finora registrate?
Molto intense e appassionate: l’aggettivo più usato? Che è un libro “vero”, e che “riconcilia” con l’esistenza.
Come possiamo classificare, se così si può dire, “Le inutili vergogne”?
Un romanzo di formazione, ma non nel senso classico del termine: direi una formazione a ritroso, per ri-pensare e ri-fondare vite già vissute a fondo.
Gli amori, gli affetti, il peccato, i sensi di colpa, la pressione di una cultura, quella cattolica, che inevitabilmente influenza vite ed esperienze di persone che vivono il nostro contesto, i corpi, la loro esaltazione, il loro mutamento, le questioni dell’identità di genere: tutti questi temi come vengono calibrati e affrontati all’interno della narrazione del libro?
I temi che citi sono calati nelle esperienze di vita di tutti i personaggi che vivono nelle pagine del mio romanzo: solo un’esperienza esistenziale profondamente radicata nella realtà può dare vita a personaggi “pieni”, in grado di restare, ben al di là delle occasioni di trama; ho adoperato un duplice livello narrativo, uno nel presente, in terza persona, più lineare, ed anche grottesco e crudo; un altro nel passato, in un misterioso dario scritto in corsivo in prima persona, dove la visione mistica della vita è al centro … per riconnettersi, infine, alla preziosità irripetibile della carne di ciascuno di noi.
A chi hai voluto rivolgerti maggiormente attraverso la scrittura del tuo libro?
Mi rivolgo ai misteri che ciascuno di noi si porta nascosti, nel cuore.
Le fasi della composizione del testo: come sono avvenute e quali sono state?
Il romanzo è stato scritto e riscritto. Alla fine, è emersa (chissà da quale recesso nascosto di me) la voce del passato, quella che parla, al femminile, in prima persona. Con la quale ho tentato la mia riconciliazione e composizione armonica, narrativamente parlando, tra le pulsioni della carne, i bilanci di una vita, le occasioni e le rinunce, e il percorso che ci porta al Divino.
Cosa ti aspetti dal futuro come magistrato e come scrittore, soprattutto, in un cambiamento a favore dell’eguaglianza nelle differenze effettiva dei cittadini, auspicabile ma ancora altamente ostile nel suo verificarsi?
Mi aspetto un maggiore coinvolgimento delle persone omosessuali nell’affermazione della loro verità e dei loro diritti; da cattolico, mi aspetto una ventata di ossigeno nella concezione dell’amore omosessuale; e, a breve termine, una legge intelligente su matrimonio e filiazione. Ma, mi aspetto pure che si ricorra poi in concreto a questa legge e che non resti un trofeo di carta.
fonte http://www.pianetagay.com By Alessandro Rizzo
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