mercoledì 13 marzo 2013

L’eredità di Mario Mieli per il mondo LGBT


Il 12 marzo 1983, esattamente trent’anni fa, Mario Mieli si tolse la vita nella sua casa milanese: quel gesto estremo portò a conclusione un’esistenza breve (Mieli aveva solo trent’anni) ma assolutamente singolare, portatrice di idee e pratiche che ancora oggi ci interrogano.

Mieli viene raccontato come uno dei fondatori del movimento lgbt (lesbico – gay – bisex – trans) italiano, un intellettuale forbito, un artista indomito, perfino un rivoluzionario.

La sua rivoluzione però è rimasta imbrigliata in quella vita finita troppo presto, in quei ragionamenti ricchi di cui lasciò prematuramente orfani i suoi coevi, e nelle pagine di un libro – il secondo – mai andato in stampa, se non dopo diversi anni, clandestinamente, in pochissime copie.

Ciononostante il più storico circolo gaylesbico della Capitale porta il suo nome e la sua tesi di laurea in filosofia morale, pubblicata da Einaudi nel 1977 con il titolo “Elementi di critica omosessuale”, è uno dei testi italiani sull’omosessualità più noti in Italia e all’estero.

Insomma Mario Mieli, indubbiamente, ha lasciato il segno.
E forse perfino un’eredità, anche se il nostro presente, le nostre rivendicazioni e perfino la battaglia per il matrimonio gay sembrano tutt’altra cosa rispetto al pensiero di Mieli, alla liberazione di cui parlava, all’armonia che si sforzò di teorizzare.
Letto oggi, Mario Mieli sembra venire dal futuro: quel suo superare le categorie dell’orientamento sessuale (“gli omosessuali non esistono” disse in un’intervista) sembra risolvere con semplicità il nodo egualitario che da sempre è il cortocircuito del dibattito italiano sul tema.
E più in generale, quel suo tentativo di riformare i ruoli e le strutture della società resta ancora oggi una delle espressioni più alte e complesse del pensiero politico italiano, assolutamente ineguagliato se visto dalla prospettiva del corpo e della sessualità.

Dieci anni fa, nel ventesimo anniversario della scomparsa di Mieli, Gianpaolo Silvestri – ex senatore dei Verdi, che aveva condiviso con Mieli gli anni del “movimento” – raccolse alcuni importanti scritti inediti sull’amico intellettuale o suoi addirittura, e li pubblicò in un libro dato alle stampe da Fabio Croce editore e che porta il titolo: “Oro, Eros e Armonia”.
Oggi quello stesso libro esce in una nuova edizione, ponendoci gli stessi interrogativi di allora.
Ancora attualissimi.

Silvestri, il movimento LGBT oggi appare molto diverso da quello in cui militava Mario Mieli, talmente diverso da non sembrarne nemmeno “figlio”. Vede anche lei questa distanza ? Come la spiegherebbe?

Si, ne è figlio ma come tutti ha dovuto ammazzare il padre per emanciparsi e diventare uomo. La differenza è abissale per il semplice motivo che il movimento ha vinto. In questi trent’anni ha rivoltato il Paese come un calzino: ha imposto la questione gay e la propria cittadinanza nell’immaginario collettivo, nel senso comune, nei costumi, nei media, nell’agenda politica. Ha insomma attuato una rivoluzione culturale a cui manca solo una traduzione legislativa. In questa “normalità” (non vi è in questo termine alcuna valutazione negativa) attuata è quasi ovvio che si sia perso il carattere necessariamente provocatorio della fase pionieristica . E’ un successo anche se si è persa gran parte dell’originalità teorica ma probabilmente non poteva essere altrimenti.

Nel pensiero di Mario Mieli liberazione sessuale, ecologia, pacifismo ma anche lotta di classe facevano parte di uno stesso paradigma, erano articolazioni della stessa rivendicazione. Un’utopia?

Tutt’altro che utopia anzi, a parer mio, è uno degli assi dell’elaborazione di Mario Mieli più vivi ed attuali. Nella sua ultima intervista ad una mia domanda sul nesso ecologia, pace, liberazione sessuale, Mario rispose: “Bisogna scongiurare la catastrofe ecologica, quella nucleare e lottare sempre per l’affermazione naturale dell’amore: i tre obiettivi sono in realtà uno e trino”. Aggiungiamo poi il suo essere contro i poteri costituiti e ne avremo una agenda politico/culturale per l’oggi. Ad esempio: il movimento glbt è, insieme alla chiesa cattolica, la struttura più familista del pianeta. Bene, una volta raggiunto l’obbiettivo della piena parità dei diritti ricominciamo però a ragionare su altro, sul non codificato, sulla liberazione in tutte le sue sfaccettate realtà, ricoloriamo il pianeta – magari anche per i single quale il sottoscritto è.

C’è qualcosa del pensiero di Mario Mieli che le risulta ancora oggi oscuro o addirittura incondivisibile?

Si, a parte la coprofagia che – seppur ammantata di esoterismo -, non riesco ad accettare (tra l’altro la diffusione dell’aids la sconsiglia vivamente), anche un eccesso nel portare alle estreme conseguenze la pratica sadomasochista.

Mario Mieli rifiutava la democrazia, la riteneva un terribile inganno; al suo posto auspicava una Repubblica retta da “saggi”: una concezione che parrebbe assolutamente profetica se riletta in questi giorni in Italia, e che sembra anticipare l’attuale crisi del sistema dei partiti. Lei che ne pensa?

E’ sicuramene uno dei punti più indigesti ma anche attuali del pensiero di Mario Mieli. Il riconoscimento che la somma delle volontà individuali non coincide necessariamente con la volontà e/o bene generale e l’evidenza di una democrazia solo formale (democrazia autoritaria, populismi e plebisciti, teocrazia, tecnocrazia, totalitarismi ed integralismi) portano nuove motivazioni al postulato di Mieli e danno impulso a teorie di “saggi ” e quant’altro: Ritengo però che finchè rimane inevasa la domanda sul chi scelga i presunti saggi convenga ancora cercare di ravvivare la democrazia e di praticarla (non so se però è ancora effettivamente possibile al di là dell’involucro formale). La crisi della forma partito solo in parte coincide con la crisi della democrazia che ha invece basi solide nei progetti tecnocratici, alienanti ed autoritari dei poteri finanziari (e non solo) internazionali

Protagonista dell’attuale scena politica italiana è una formazione che si fa chiamare “movimento” e non partito. Che relazione c’è secondo lei con il movimento degli anni 70 di Mario Mieli? quali gli aspetti comuni quali le principali differenze?

In comune c’è l’irriducibilità individuale con il proprio corpo, le passioni, esperienze e vita. C’è la convinzione egalitaria (ognuno conta) e la scommessa di un positivo cambiamento. C’è anche la rabbia. La differenza massima è la corporeità e le relazioni tra le persone, la fine delle ideologie in nome di mortiferi pragmatismi, il grigio invece dell’arcobaleno di 30 anni fa, la necessità di uniformi (nel senso lato di appartenenze che devono sostituire come palliativi l’enorme solitudine dell’oggi e l’essere ridotti a monadi monovocali) e la defunta fantasia. C’è la necessità di capi (di partito, di chiesa ecc.) e di appartenenze tribali, localiste, sanfediste, integraliste che nascondano il vuoto dell’individuo, della società, della politica. Dobbiamo tornare ad un pieno che ridia legittimità e gioia all’essere ed all’ agire.

Pochi giorni prima che Mieli si togliesse la vita lei gli rivolse l’ultima intervista: lui stesso le chiese di intitolarla “c’è ancora speranza?”. Mieli a questa domanda avrebbe risposto di sì: così lei azzardò allora nell’introduzione.Ne è ancora convinto? Anche oggi Mario Mieli risponderebbe che c’è speranza?


Si, risponderebbe come sempre si, c’è ancora speranza.
Anch’io lo credo anche se con tonnellate di dubbi in più.
fonte http://www.ilfattoquotidiano.it di Vincenzo Branà

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