giovedì 7 novembre 2013

Lgbt: La storia "Non sono lesbica ma mi sono innamorata di lei"

L’università, un marito, due figli. Poi un incontro casuale, «oscure dolcezze» che restano solo pensieri. Una donna scopre il desiderio per un’altra donna. E lo racconta

Mi sono innamorata. Non avrei mai pensato di innamorarmi di nuovo a 38 anni, sposata con l’uomo che ho giurato di amare, e con due bambini ancora piccoli.
Ma soprattutto, non avrei mai pensato di innamorarmi di una donna. Ecco, l’ho detto. Non ho il coraggio di usare la parola “lesbica”, perché non è così che mi sento. O forse semplicemente perché mi fa paura. Non per pregiudizi, assolutamente.
Ma come vi sentireste voi senza ormeggi, strappate via da qualcosa di inesplicabile? Senza sapere in che direzione state andando?

«Nuovamente Eros / di sotto alle palpebre languido / mi guarda coi suoi occhi di mare / con oscure dolcezze / mi spinge nelle reti di Cipride / inestricabili»: è Ibico, uno dei lirici greci che avevo studiato al liceo, da ragazzina. Avevo sottolineato la frase senza neppure capire di cosa si trattasse: che ne sapevo io, a 16 anni, di «oscure dolcezze»? Ma sono andata a cercarlo nei miei scaffali, quel libro dimenticato; perché adesso, vent’anni dopo, mi sento così, persa in queste reti inestricabili e senza sapere che cosa fare.

La mia vita, vista da fuori, è semplice e lineare. E fortunata. Una vita protetta, da sempre. Prima dai miei genitori. E poi - mi sono sposata giovane, appena finita l’università - un marito, due bambini molto desiderati, una casa piena di cose belle; tutte cose di cui sono estremamente grata.
Eppure. Eppure ci sono quelle «oscure dolcezze». E c’è lei. Ci siamo conosciute, ironia del caso, proprio a un matrimonio. Un matrimonio di quelli impegnativi, due giorni in campagna, organizzazione perfetta, peonie e candele ovunque.

Da film. Io avevo appena litigato con mio marito, o almeno cercato di litigare: con lui è impossibile, appena tento di affrontare qualche argomento spinoso si fa venire mal di testa. Mi chiedo se lo faccia anche sul lavoro, o se è un trattamento riservato a me. In ogni caso, eccoci al matrimonio, a far finta di essere di ottimo umore, con i bambini più capricciosi del solito, mentre cerco di entrare nel vestito che mi stava bene due gravidanze fa. Lei era al tavolo accanto. È arrivata e tutti si sono girati. Ha qualcosa nel modo di camminare, di sorridere, di guardarti, che semplicemente ti arresta. Non è bella in modo tradizionale, no. È alta, sguardo fiero, il portamento di un’amazzone. È a quello che ho pensato quando l’ho conosciuta.

E no, non è una donna a cui piacciono le donne. Sposata anche lei, una figlia già adolescente. Un matrimonio in crisi, a cui aveva appena deciso di mettere la parola fine. Un bel lavoro, di quelli che ti occupano cuore e mente. E quello sguardo fiero, senza paura. Io non riuscivo a staccarle gli occhi di dosso. Quando ci hanno presentate. Quando ci siamo messe a ballare. Le gambe lunghe, il profilo orgoglioso, la scollatura. La guardavo e mi sorprendevo a pensare: chissà com’è, nuda… Alle due del mattino eravamo ancora lì, a chiacchierare, una sigaretta dietro l’altra; a raccontarci. Quella notte non ho dormito. E il giorno dopo, quando ci siamo salutate, scambiandoci i cellulari, l’ho abbracciata e tremavo. Avevo paura che indovinasse tutto, dalla mia vertigine. Ma indovinare che cosa?

È quello che non so. Non lo so da allora. Tutte le volte che ci sentiamo via Skype, che ridiamo insieme. Tutte le volte che non risponde ai miei messaggi. Tutte le volte che sento un’esitazione nella sua voce, nelle sue parole - ma forse l’esitazione è solo mia. Ci siamo riviste. Sono andata a trovarla (lei abita in un’altra città), con la scusa di una mostra che volevo assolutamente vedere, di «anch’io ho bisogno di ossigeno», lasciando i bambini a mio marito. Sono andata a trovarla nella sua nuova vita, senza conoscere la sua vita di prima; nel suo appartamento caotico da single di ritorno. Siamo state alzate di notte, di nuovo, a fumare e bere vino, ridendo e raccontandoci tutto: paure e desideri, uomini e delusioni. Io sentivo quelle «oscure dolcezze» che mi avvolgevano, mi toglievano il respiro, volevo allungare la mano e prenderla. La guardavo, accendendomi un’altra sigaretta, e pensavo a come sarebbe stato spogliarla.

Non l’ho fatto. Non so se per rispetto o per paura. Ma sono tornata a casa come ubriaca. Tornata nella mia vita protetta, troppo protetta, con questo segreto. Ci penso. Sempre. E soprattutto, mi sembra di incontrare storie di amazzoni, e di donne che amano donne, ovunque. Ci inciampo nei film, nei libri che leggo… Nelle innumerevoli notizie di diritti gay sui giornali, alla tv. Ecco, l’ho pronunciata, la parola “gay”. Ma è la mia storia? È la sua storia? O è solo un innamoramento, un’infatuazione che rimarrà così, sospesa? E se fosse solo una scusa, un modo per non vedere che il rapporto con mio marito, con cui ormai non faccio quasi più sesso, sta sprofondando in una routine anestetizzata? Non so che cosa succederà. So solo che, nelle ombre di donne fiere, a testa alta, che voltano l’angolo per strada, ogni tanto mi sembra di vedere lei. E vorrei mollare tutto per correrle dietro. (Testo raccolto da Lisa Corva)

Lo psicoanalista: «La sessualità è fluida»
Professor Vittorio Lingiardi*, ma è davvero possibile scoprirsi gay a 38 anni? «È possibile. La costruzione della propria identità sessuale non è un percorso lineare, con un inizio e una fine.
Inoltre, comportamenti e identità non sempre coincidono. La consapevolezza del proprio orientamento (etero, omo, bisessuale) in media si definisce nel corso dell’adolescenza.
Ma per tutta la vita può accadere di essere “sorpresi” dai propri desideri». In questi casi significa che il proprio vero orientamento era stato represso?
«Non si può generalizzare. Un studio serio a riguardo è del 2008 di Lisa Diamond: Sexual Fluidity, pubblicato dalla Harvard University Press.
La studiosa ha analizzato i casi di decine di donne che, nel corso della propria vita, hanno “sconfinato” dall’etero all’omosessualità».
Soggetti per lo più femminili, quindi: sono le donne ad avere una sessualità più “fluida” e cangiante? «Stando alle ricerche scientifiche sulla fluidità sessuale sì, l’incidenza è maggiore nel mondo femminile.
Forse perché i ruoli sono meno rigidi». Vista l’età, nasce il sospetto che siano le donne le più sessualmente “annoiate” dal partner fisso… «Oddio, questo non lo so.
Ma se fosse così basterebbe cambiare partner, non orientamento! Mille ragioni ci spingono a cercare un legame: il desiderio, la passione, la curiosità, la ricerca di intimità, di sicurezza. Le ragioni intellettuali sono quelle a cui credo meno».
(*Vittorio Lingiardi, psichiatra e psicoanalista, è professore ordinario di Psicologia Dinamica presso la Facoltà di Medicina e Psicologia dell’Università La Sapienza, Roma. È autore di numerosi studinsul genere e la sessualità) C.M.
fonte http://d.repubblica.it di E.R.

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