mercoledì 15 agosto 2012

martedì 14 agosto 2012

Lgbt Firenze: "Le lesbiche non esistono" Il documentario nato e cresciuto grazie al web

I finanziatori tradizionali non scuciono uno spicciolo? Allora gli utenti diventano, nel loro piccolo, produttori.

Si chiama crowdfunding ed è la via scelta da due giovani registe.

Il titolo colpisce e va dritto al punto.

Le lesbiche non esistono, come a dire: le donne omosessuali nella società italiana sono invisibili.
La loro presenza è stata finora silenziosa, ma qualcosa sta cambiando.

Lo dimostra il documentario ideato da due giovani videomaker toscane, che stanno raccogliendo fondi per il loro progetto grazie alle micro-donazioni degli utenti del web. Bastano 10 euro per diventare produttori in erba e avere l’emozione di comparire nei titoli di coda.

Dietro l’obiettivo due giovani e intraprendenti registe: Laura Landi e Giovanna Selis, entrambe 30enni, che in questi giorni stanno finendo le riprese.

Negli ultimi mesi hanno raccolto le storie di donne più o meno giovani, in giro per l’Italia.

Il loro lavoro sarà proiettato in anteprima al prossimo Florence Queer Festival, la rassegna fiorentina dedicata al cinema a tematica lgbt.

Il titolo è nato da una provocazione, dalla riflessione sui pochi insulti riferiti all’omosessualità femminile.

“A noi venivano in mente solo termini attribuiti a uomini gay – spiegano le due videomaker – una mancanza linguistica sintomo di una mancanza più grave, sociale”.

Visti i pochi denari che girano di questi tempi per i nuovi progetti, Laura e Giovanna hanno scelto la via indicata web 2.0, affidandosi al crowdfunding.

I finanziatori tradizionali non scuciono uno spicciolo? Allora i singoli utenti diventano, nel loro piccolo, produttori. L’idea è semplice: l’unione fa la forza.

“Le lesbiche non esistono” è così approdato sul sito produzionidalbasso.com,
una piattaforma gratuita che finora ha permesso di finanziare oltre 160 progetti, altri 240 sono attualmente attivi, mentre i fondi raccolti hanno superato quota mezzo milione di euro.

E la lancetta delle promesse di donazioni per il documentario di Laura e Giovanna si avvicina ogni giorno di più alla soglia finale, 4mila euro.
Dimostrazione che il potere della rete sta nelle persone, non solo nei bit.
fonte http://www.teladoiofirenze.it Scritto da Gianni Carpini

Lgbt: Flavio Briatore a La Zanzara “Un figlio gay? L’importante è che sia felice. Sì ai matrimoni gay”

Flavio Briatore ha espresso la sua opinione riguardo l’omosessualità e i diritti civili per i gay in un’intervista rilasciata a La Zanzara, trasmissione di Radio 24.

L’imprenditore ha ammesso che non avrebbe problemi ad avere un figlio omosessuale e ha espresso un opinione positiva anche per i matrimoni gay.


Queste sono le sue dichiarazioni riportate da Giornalettismo:
Se mio figlio un giorno mi dicesse di essere omosessuale non sarei dispiaciuto. L’importante è che trovi il compagno giusto e sia felice. Non è una cosa che un padre sogna, non è al top delle mie aspettative ma questo non c’entra. Ripeto: l’importante è che un figlio sia felice, non ho pregiudizi.

Briatore ha aggiunto:
Io sono d’accordo anche col matrimonio gay, zero problemi e l’Italia è molto indietro rispetto agli Stati Uniti ed altri paesi.
fonte http://www.gayprider.comFabio, Photo Credits | Getty Images

Lgbt USA: Us Army, il primo generale lesbica, e la consorte le appunta le stellette

A meno di un anno dall'abolizione del "don't ask don't tell", Tammy Smith diventa la prima omosessuale dichiarata al più alto grado ordinario dell'esercito americano.
La promozione nel corso di una cerimonia al cimitero di Arlington

NEW YORK, L'esercito Usa ha inferto un nuovo colpo, probabilmente decisivo, a quanti, nel suo ambito, hanno lavorato alla resistenza del "Don't ask don't tell", la convenzione abolita meno di un anno fa che imponeva a chi vestiva la divisa di non rivelare la propria omosessualità.

Quel "comandamento" è stato sospinto con ancor più forza nel passato dalla nomina del primo generale gay dell'US Army. Donna e lesbica, per di più.

Già lo scorso giugno, il Pentagono ha ospitato il suo primo Gay Pride e a luglio ha consentito a tutti i militari gay di sfilare in uniforme al Gay Pride di San Diego, in California. Ma, per la storia dell'esercito americano e di tutta la società Usa, la vicenda e la posizione di Tammy Smith sono più significative di mille parate.

A 49 anni, la Smith è stata promossa generale di brigata nel corso di una cerimonia tenuta venerdì scorso al cimitero nazionale di Arlington, in Virginia. E ad appuntarle le stellette è stata Tracey Hepner, consorte del neogenerale, matrimonio celebrato lo scorso anno a Washington D.C. dopo nove anni di relazione.

Anche attivista, la Hepner, cofondatrice della Military Partners and Families Coalition, organismo che si batte per i benefici e i programmi militari da dedicare a partner dello stesso sesso. Venerdi scorso, al cimitero di Arlington, non era la prima volta che Tracey Hepner presenziava a una cerimonia militare.
Semplicemente, la prima in cui lei e Tammy non si sono mimetizzate.

Così il generale Smith diventa il primo altissimo ufficiale omosessuale dichiarato dell'esercito Usa. Ed è proprio con la promozione che è emerso l'orientamento sessuale di Tammy.

Circa un anno fa, prima della rimozione del "Don't ask don't tell", il quotidiano Stars and Stripes, specializzato nei temi riguardanti le forze militari americane, aveva intervistato l'allora colonnello Smith, coperto dall'anonimato. Tammy aveva raccontato di non avere pianificato il suo "coming out".
"Non vorrei espormi con i colleghi, ma sarà un sollievo poter uscire con la mia compagna senza paura di essere scoperte".

Poi era arrivata l'abolizione del "Don't ask don't tell", evento accompagnato da un messaggio del segretario alla Difesa, Leon Panetta, diffuso su YouTube, con cui gli Usa ringraziavano ufficialmente i militari gay per il servigi resi. Un anno di grandi cambiamenti, il 2011, per il generale Tammy Smith e la sua partner Tracey Hepner. "Il sostegno che abbiamo ricevuto è stato fantastico - racconta oggi la Smith -.

Non ero sorpresa dalla capacità della gente di accettare la nostra situazione, ma in alcuni casi è stata quasi una celebrazione. Nella sostanza, per me e Tracey non cambiava nulla, in realtà cambiava tutto".

"Un grande giorno" lo ha definito Sue Fulton, laureata all'accademia militare di West Point nel 1980 e membro del comitato direttivo di OutServe, associazione dei militari omosessuali: "Per anni, generali e ammiragli gay e lesbiche sono stati costretti a nascondere le loro famiglie per proteggere le loro carriere.

E' un gran giorno per i nostri militari e per la nostra nazione, dal momento che questo coraggioso leader (Tammy Smith, ndr) può finalmente rendere merito a sua moglie per il sostegno e il sacrificio così come va reso merito a tutte le famiglie dei militari per i servizi resi al nostro Paese".
fonte http://www.repubblica.it/esteri

domenica 12 agosto 2012

Lgbt: Cinema "Cinquanta sfumature di grigio" Matt Bomer è troppo gay per il ruolo di Christian Grey?

Matt Bomer è troppo gay per interpretare il ruolo di Christian Grey nel film che sarà tratto dal libro ”Cinquanta sfumature di grigio”?

Per chi non lo sapesse, “Cinquanta sfumature di grigio” è un libro decisamente ”spinto”, scritto dalla scrittrice E. L. James, che in breve tempo ha venduto ben 31 milioni di copie in tutto il mondo! Il motivo di tanto interesse? Le scene decisamente esplicite e le pratiche sessuali narrate fra le pagine del romanzo, i cui protagonisti sono una giovane studentessa di nome Anastasia, e l’affascinante Christian Grey, amministratore delegato della Grey Enterprises Holdings.

Fatta questa doverosa premessa, passiamo allo scandalo del giorno: un attore gay come Matt Bomer, che se non lo sapeste, ha fatto coming out proprio pochi mesi fa, non avrebbe le carte in regola per recitare il ruolo dell’affascinante (ed eterosessuale) Christian Grey.

Se anche a voi è capitato di ammirare questo giovane attore nel ruolo del ladro gentiluomo Neal Caffrey nella serie ”White Collar”, comprenderete senza dubbio il nostro stupore di fronte a una simile insinuazione.

A dichiararlo è stato attraverso la sua pagina Twitter lo scrittore Bret Easton Ellis, che riferendosi alla candidatura dell’attore per il ruolo di Christian Grey commenta: “Non è giusto per interpretare Christian Grey, perché è troppo gay”.

“Ok, – ha quindi aggiunto lo scrittore – lo dirò. Matt Bomer non è adatto per Christian Grey perché è apertamente gay. E’ grande per altri ruoli, ma questo è un gioco troppo grande. Bomer è incredibilmente affascinante e anche un ottimo attore ma credo che in ‘White Collar’ appaia completamente gay. E per questo non può essere CG”.

Immediata la reazione da parte dei fan dell’attore, che hanno accusato lo scrittore di voler discriminare il loro beniamino per via del suo orientamento sessuale, accuse dalle quali Bret Easton Ellis prende prontamente le distanze: “Io non sto discriminando Matt Bomer per il suo orientamento sessuale, ma Cinquanta sfumature di grigio necessita di un attore che sia veramente attratto dalle donne“.

Ma non è bastata questa spiegazione per i fan dell’attore, che continuano ad accusare lo scrittore di omofobia. In realtà, verrebbe da pensare che – come fin troppo spesso accade – anche Bret Easton Ellis possa essere vittima dei soliti pregiudizi secondo cui un attore gay non potrebbe interpretare al meglio il ruolo di un personaggio eterosessuale.

Purtroppo questa situazione conferma quanto più volte denunciato da molti attori apertamente omosessuali ad Hollywood, voi cosa ne pensate ragazzi?
fonte http://www.gaywave.it foto AP/LaPresse

Lgbt New York: “Troppo Sister Act” Vaticano contro le suore Usa. Non sono contro aborti e gay

NEW YORK, Troppo Sister Act per i gusti di Roma: cantano, ballano, sono impegnate nel sociale e hanno posizioni liberal sui temi etici.

Le suore americane, tacciate di “femminismo” dal Vaticano, si sono riunite a conclave a St. Louis, Missouri, in una tre giorni durante la quale decideranno se piegarsi o meno ai diktat di Roma.

The Leadership Conference of Women Religious, fondata nel 1956 con il consenso della Santa Sede, rappresenta circa l’80% delle 57 mila suore statunitensi. Sono oltre 900 le sorelle che parteciperanno all’incontro del più grande gruppo di suore cattoliche americane.

All’ordine del giorno la querelle che si trascina da mesi, con la “Congregazione per la dottrina della fede” che le ha accusate di non opporsi abbastanza alla contraccezione e ai matrimoni gay, così come di non impegnarsi con sufficiente determinazione contro l’aborto, perché le loro energie erano concentrate nell’aiuto ai poveri.

Ma le suore non si sono lasciate intimorire, forti del sostegno di molti fedeli che hanno imparato ad apprezzarle come infermiere negli ospedali, insegnanti nelle scuole cattoliche e amministratrici di parrocchie.

Anzi,alcune di loro, temerarie, hanno dato vita a un tour “Nuns on the bus” per spiegare on the road le ragioni della loro ribellione. Ora al culmine della polemica il Vaticano ha lanciato un ultimatum: tornate su una linea più aderente alla dottrina della Chiesa e accettate il controllo di tre vescovi.

Ecco perché, da martedì sera, si sono ritrovate in un albergo di Saint Louis, per decidere cosa fare. Ma non sono sole: per loro è arrivata la solidarietà dell’ordine francescano d’America e a Saint Louis sono state accolte da un caldo benvenuto del vescovo della città.

E anche Timothy Dolan, cardinale di New York nonché presidente della Conferenza dei vescovi Usa, considerato un duro negli ambienti ecclesiastici, si è sbilanciato con un: “Noi cattolici amiamo le nostre sorelle”.

La risposta delle sorelle è attesa per venerdì sera ma, a giudicare dai presupposti, non ci dovrebbero essere gesti irreparabili di rottura.

Non abbasseranno la testa, ma è necessario evitare gli strappi in un periodo in cui la gerarchia ecclesiastica Usa, scossa dagli scandali dei preti pedofili, deve fronteggiare una crisi d’immagine.
fonte http://www.blitzquotidiano.it

Lgbt: Madonna sfida l'omofobia di Mosca

Madonna sfida i russi. Al concerto di San Pietroburgo, ieri, è apparsa con una scritta sulla schiena: “No Fear” (nessuna paura), ha lanciato il suo proclama in difesa dei diritti dei gay.

«La comunità gay, gli omosessuali, hanno lo stesso diritto di vivere con dignità, con rispetto ed amore», ha detto dal palco la popstar italo-americana.

E i russi non l’hanno presa bene, sia a livello di autorità (il vicepremier Dmitri Rogozin l’ha definita una «ex pu***na, ora dà lezioni di morale, soprattutto quando è all’estero» su Twitter), che a livello popolare: gli ortodossi hanno indetto una loro manifestazione fuori dal concerto, insultando i gay, insultando lei e condannando al rogo le sue magliette.

È una tournée da battaglia per Madonna Ciccone in Russia: già al suo concerto di Mosca, il 7 agosto scorso, aveva lanciato un proclama per la liberazione delle Pussy Riot, le tre ragazze del collettivo anarchico femminile, finite in galera e tuttora sotto processo per aver “dissacrato” la cattedrale di Cristo Salvatore.

A San Pietroburgo, invece, ha deciso di sfidare apertamente la nuova legge locale che vieta la “propaganda” gay. Ma gli attivisti dei diritti omosessuali della città russa non sembrano aver gradito il suo sostegno. Jurij Gabrikov, dell’associazione Gay Russia l’accusa di «ipocrisia».

«Non è sufficiente dire qualche parola in favore degli omosessuali tra due canzoni durante un concerto». Secondo Gabrikov il gesto migliore e più opportuno sarebbe stato l’annullamento dell’evento. La legge anti-propaganda gay è in vigore da febbraio e c’era dunque tutto il tempo per programmare la tournée escludendo la città proibizionista.

I gesti eclatanti delle popstar occidentali, tutte le volte che si occupano di diritti umani altrove nel mondo, lasciano sempre un po’ perplessi. Suonano più come atti auto-promozionali che non come impegni sinceri. Sacha Baron Cohen, nel suo dissacrante film “Bruno”, già ci aveva mostrato la realtà degli uffici di relazioni pubbliche per Vip che, dai loro uffici hi-tech della California, suggeriscono campagne a favore dell’ecologia o di questo o quel diritto, a seconda dell’immagine che possono dare al loro famoso cliente.
Madonna non pare sfuggire a questa superficialità.

Ma almeno ha permesso all’audience mondiale di toccare con mano che cosa stia diventando la Russia.

Oltre alla nostalgia per l’iconografia sovietica, infatti, nel grande Impe… pardon, Federazione, si stanno creando tutte le premesse per un ritorno di fiamma del monopolio della Chiesa ortodossa sulla cultura. E in molti casi anche sulla politica. Se il presidente Vladimir Putin viene spesso e volentieri paragonato al nuovo zar, al suo fianco non può mancare il patriarca Cirillo, braccio spirituale del potere del Cremlino.

Anche per questo la nuova Russia è amata dai conservatori italiani, da quelli che vorrebbero “fare come Putin”. Ma proprio per questo, tutti i russi che si mettono in rotta di collisione con la Chiesa ortodossa vivono una vita sempre più dura. Le Pussy Riot, a gennaio, avevano insultato pubblicamente Putin sulla Piazza Rossa e tutto quel che avevano rimediato era stata una multa. A febbraio lo hanno fatto nella cattedrale di Cristo Salvatore.
E da allora sono in carcere, trattate come criminali, per blasfemia e vandalismo.

Il bersaglio preferito di questo revival religioso è proprio la comunità gay. La legge di San Pietroburgo vieta esplicitamente «azioni pubbliche volte a propagandare la sodomia (sic!), il lesbismo, la bisessualità e la transessualità tra i minori». L’intento della legge è, appunto, quello di vietare la propaganda rivolta ai minorenni, ma di fatto si traduce in un divieto totale di ogni forma di comunicazione.

«Il termine “propaganda omosessuale” è estremamente vago – dice una lesbica a Radio Free Europe – anche quando dico in pubblico “ti amo” alla mia compagna, può essere considerato un reato di propaganda». La pena prevista è una multa molto salata, circa 15mila euro. San Pietroburgo non è l’unica città ad aver introdotto leggi simili: anche a Ryazan, Arcangelo e Kostroma, gli omosessuali non hanno più diritto di parola. Il problema, però, non è solo fra le autorità.

Ma anche nella cultura popolare. Internet è ormai zeppa di incitazione all’odio contro gli omosessuali. VKontakte, il più diffuso social network russo ha anche vietato ai suoi utenti di indicare nel loro profilo un partner dello stesso sesso. Secondo un sondaggio dell’istituto Levada, il 38% dei russi ritiene che l’omosessualità sia “una pessima abitudine”, per un altro 36% è “una malattia o il prodotto di un trauma psicologico”.

Attivisti gay e chiunque partecipi a manifestazioni pubbliche, rischiano il carcere o l’assalto di folle omofobiche. Più il Cremlino aumenta il livello di repressione, più risulta popolare: non è solo un’istanza dell’attuale classe dirigente, ma anche di gran parte dell’attuale opposizione, costituita soprattutto da nazionalisti.

Gli omosessuali russi avvertono gli etero: «Questa legge sarà applicata anche alla gente eterosessuale che scende in strada a manifestare - dichiara Igor Kochetkov, leader di Lgbt Network - contro i giornalisti che scrivono cose sgradite alle autorità, contro tutti coloro che, semplicemente, vogliono difendere i loro diritti.
Non dobbiamo pensare che i deputati che approvano questa legge siano stupidi o ingenui. Stanno strumentalizzando i sentimenti di parte dell’opinione pubblica e il loro scopo non riguarda solo la repressione di gay e lesbiche. Riguarda tutti i cittadini che pensano con la loro testa».

Una prova che le nuove leggi “morali” russe stiano andando anche oltre il campo della repressione dei gay, è la nuova legge sulle Ong straniere. Secondo la nuova legge, quelle che ricevono fondi dall’estero, sono bollate come “agenti stranieri”. Devono ri-registrarsi entro 90 giorni, pena la chiusura.

Se la registrazione è considerata incompleta, devono pagare multe nell’ordine dei 25mila euro. Questa legge colpisce soprattutto le Ong religiose, cattoliche e protestanti in particolare, che ricevono soldi dalle loro chiese all’estero.
Non solo i gay sono nel mirino, ma tutti coloro che non vogliono imboccare la nuova via per la teocrazia ortodossa.
fonte http://www.opinione.it di Stefano Magni

Lgbt Taiwan: primo matrimonio lesbo buddista

Due ragazze coronano il sogno d'amore a Shanghai, Fish Huang e You Ya-ting, due ragazze trentenni, che stanno insieme da sette anni, si sono sposate oggi a Taiwan con rito buddista nel monastero della contea di Taoyuan.
Nel paese, dove non e' legale l’unione civile tra omosessuali, e' la prima volta che cio' accade con rito religioso.

Nell’agosto del 2011, 80 coppie lesbiche per sollevare l’attenzione pubblica sulle problematiche del mondo omosessuale, si sono unite in matrimonio "simbolico" con una cerimonia di massa a cui hanno partecipato oltre 1000 persone.

Non e' da escludere che venga organizzata un'iniziativa simile anche quest'anno.
Sempre lo scorso anno Taiwan ha ospitato l’ottava edizione del Gay Pride a cui hanno preso parte circa 50.000 persone. Taiwan, tra i paesi asiatici, e' quello che ha un atteggiamento piu' aperto nei confronti degli omosessuali, sebbene i matrimoni fra omosessuali non siano ancora stati resi legali dal governo.

Nel 2003 venne presentata a tal fine una proposta di legge, che includeva anche la possibilita' per le coppie gay di adottare, che tuttavia non e' mai stata approvata a causa soprattutto delle pressioni dei gruppi cattolici.
fonte http://www.voceditalia.it

Lgbt Palermo: Picchiato perché gay, la Vucciria contro l’omofobia centinaia per il flash mob

La comunità LGBT non è rimasta a guardare. Al grido di “Palermo libera tutta”, centinaia di persone hanno partecipato al flash mob organizzato da Arcigay e Articolo Tre all’indomani dell’aggressione omofoba alla Vucciria.

Poco prima delle 23 piazza Caracciolo, nel cuore del mercato storico del capoluogo siciliano, è stata invasa in segno di solidarietà per Fulvio Boatta, schiaffeggiato all’uscita dal bagno di una taverna perché gay.

“Mi sento confortato dal sostegno di tante persone. Questa è la dimostrazione che Palermo non è la città violenta che a volte si manifesta – dice Boatta – Palermo è la città delle 40 mila persone in piazza per il Pride, è la città delle persone che vogliono cambiarla”.

Il flash mob è cominciato con il suono improvviso di una sirena antiaereo. A tutti i partecipanti è stato chiesto di accovacciarsi come per proteggersi da un pericolo.

La voce narrante ha raccontato la storia di Fulvio e altre storie di ordinaria violenza. Poi, tutti in piedi al grido di “Palermo libera tutta!”.

“Non denunciare la violenza fisica che si subisce è la normalità – dice Fulvio – Questa mentalità deve essere cambiata. Siamo qui per questo ma anche per far sapere a tutte le vittime della violenza che non sono sole, che c’è una rete sociale e che devono denunciare, uscire allo scoperto senza paura”.
All’interno della Taverna azzurra, teatro dell’aggressione di giovedì, adesso c’è la bandiera multicolore di Arcigay.
fonte http://www.siciliainformazioni.com di Silvia Andretti